Domenica della Parola. Una Giornata per imparare a leggere la Bibbia
Un'immagine del Festival Biblico
Una giornata, questa domenica, da dedicare interamente alla Parola di Dio durante la celebrazione dell’Eucaristia nelle nostre chiese ma soprattutto, come suggerirebbe il grande esegeta Luis Alonso Schökel (1920-1998), per «imparare a leggere la Bibbia» accettando anche la fatica «della difficile interpretazione dei testi spesso ostici».
È il sogno ma anche la speranza più intima del gesuita belga e biblista Jean Louis Ska che intravede nella scelta “profetica” di papa Francesco grazie alla Lettera apostolica in forma di motu proprio Aperuit illis di fissare nel calendario liturgico e istituire una intera giornata che mette al centro la Sacra Scrittura come l’occasione privilegiata per imparare a nutrirsi della Parola di Dio non sporadicamente ma nella quotidianità.
«Mi auguro che questo evento che da domani si ripeterà per ogni nuovo anno liturgico divenendo per i fedeli cattolici una prassi – è l’argomentazione del gesuita che è docente di esegesi biblica al Pontificio istituto biblico di Roma – induca e spinga tutti noi credenti a prendere in mano la Bibbia con più serietà perché tra quelle pagine, come recita la Costituzione dogmatica Dei Verbum è custodito il tesoro della Rivelazione di Dio al suo popolo, che siamo tutti noi battezzati».
E annota un dettaglio: «Spesso mi viene in mente, a questo proposito, la frase attribuita a san Girolamo: “L’ignoranza delle Scritture è l’ignoranza di Cristo”». Ma nel ragionamento di padre Ska, classe 1946 e autore di un bel libro da poco uscito per le Edb (Edizioni Dehoniane di Bologna, pagine 244, euro 25) La musica prima di tutto. Saggi di esegesi biblica affiora qualcosa di più profondo e forse “provocatorio” e quasi di sfida per tutti i credenti che vogliono diventare autentici fruitori della Parola di Dio, discepoli come direbbero i monaci, di una vera Lectio divina.
«Credo che dovremmo grazie a questo appuntamento – è la riflessione – ripartire dagli esempi virtuosi che ci provengono dalla storia: penso al bravo protestante, dei tempi passati, che ogni giorno leggeva un passo della Bibbia o il pio ebreo che oltre a soffermarsi su una pagina della Torah non dimenticava per avere una visione completa della Parola di Dio di affidarsi al commentario medievale di Rashi».
Un metodo esigente questo – agli occhi dell’insigne esegeta – che ci aiuterebbe a capire il valore della Scrittura come Parola rivelata. «Senza una guida, delle note di commento – osserva – la Bibbia si mostra come ostica e come se offrissimo al lettore capolavori come l’Iliade, l’Odissea o la Divina Commedia senza le note di spiegazione tutto risulterebbe sterile, come qualcosa di non vissuto e da mettere nella nostra biblioteca come qualcosa che è separato da noi. Basti pensare quanto sia importante meditando la Bibbia il linguaggio parabolico e simbolico dei suoi testi. La Lettera apostolica di Francesco ci invita a scoprire che nelle Sacre Scritture non c’è soltanto una via per la nostra salvezza ma anche le radici della nostra fede che costituiscono la nostra identità cristiana».
Ma in questo documento di papa Bergoglio padre Ska coglie idealmente un lungo filo rosso di coerenza del suo magistero: tanti non a caso sono gli accenni alla Costituzione conciliare Dei Verbum e all’Esortazione apostolica del 2010 di Benedetto XVI Verbum Domini.
«Prendendo in mano l’impianto generale della Aperuit illis – riflette – ho scorto tracce di continuità con il magistero precedente penso in particolare all’enciclica di Leone XIII del 1893 la Provvidentissimus Deus in cui papa Pecci, per la prima volta, pone l’accento sull’importanza della storicità dei Vangeli o sul problema delle attribuzioni di alcuni brani dell’Antico Testamento a determinati autori come il caso di Mosé e del Pentateuco e ancora di più nella pionieristica enciclica di Pio XII del 1943 la Divino Afflante Spiritu, il cui estensore principale è stato il domenicano francese Jacques Marie Vosté, che ha permesso a noi esegeti, penso a questo proposito a due miei grandi confratelli, Lyonnet e Zerwick, visti con sospetto durante il Concilio e poi completamente riabilitati da Paolo VI, di indagare sulla questione dei “generi letterari” nella Bibbia. Un documento quello di papa Pacelli scritto e pensato quasi vent’anni prima dell’apertura del Concilio nel 1962!».
Ed è proprio ai gesti con cui Francesco aprirà la celebrazione di domani mattina alle 10 nella Basilica di San Pietro come l’intronizzazione del Lezionario usato in tutte le quattro sessioni del Concilio Vaticano II e il dono della Bibbia a 40 persone in rappresentanza di tante espressioni della vita quotidiana: dal vescovo allo straniero, dal povero al giornalista.
«Ho scorto in tutto questo – è la riflessione finale – un omaggio al Vaticano II ma anche a quei padri del Biblico penso in particolare a Carlo Maria Martini e a Ignace de La Potterie che nel solco della Dei Verbum si sono fatti promotori negli anni del post- Concilio attraverso il loro stile di ricerca di una lettura “critica” della Bibbia. E l’evento di domani ci indica soprattutto, come suggerisce lo stesso Francesco, che la Parola di Dio appartiene a tutti, non è monopolio di una gerarchia, di una classe di specialisti o di “dottori della legge” parla a ciascuno di noi e appartiene a tutta l’umanità».