Chiesa

Convegno ecclesiale. «La Chiesa sia umile e inquieta»

Stefania Falasca martedì 10 novembre 2015
«Un nuovo umanesimo? No, quello dei “sentimenti di Cristo Gesù”», come dice san Paolo. L’atteso discorso alla Chiesa italiana papa Francesco l’ha pronunciato ai piedi dell’Hecce homo nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze invitando a lasciarsi guardare da Cristo. E proprio dall’immedesimarsi nei «sentimenti di Cristo» Francesco prospetta il cammino per il cattolicesimo italiano. La chiave di questo importante intervento che parte da san Paolo, severo e al tempo stesso materno, s’incentra tutto in questa prospettiva per un percorso di vitale rinnovamento. Riprendendo i motivi espressi nell’Evangelii gaudium il Papa, come già in altre occasioni, ha focalizzato due tentazioni ereticali da sconfiggere nella Chiesa: quella del pelagianismo e quella dello gnosticismo. A tutta la compagine ecclesiale esprime due raccomandazioni: l’inclusione sociale dei poveri e il dialogo. Ai vescovi chiede di essere veri pastori al servizio del popolo, non autorefenziali e predicatori di complesse dottrine, esprimendo infine il desiderio di vedere oggi il dispiegarsi di una Chiesa madre. Quali sono «i sentimenti di Cristo»? Umiltà, disinteresse, beatitudine. Questi sono i tre tratti «che voglio oggi presentare alla vostra meditazione sull’umanesimo cristiano che nasce dall’umanità del Figlio di Dio» afferma Francesco. E questi tratti dicono qualcosa anche alla Chiesa italiana che oggi si riunisce per camminare insieme. Primo: «Che non dobbiamo essere ossessionati dal potere, anche quando questo prende il volto di un potere utile e funzionale all'immagine sociale della Chiesa». Secondo: Che «se la Chiesa non assume i sentimenti di Gesù, si disorienta, perde il senso. Se li assume, invece, sa essere all’altezza della sua missione. I sentimenti di Gesù ci dicono che una Chiesa che pensa a se stessa e ai propri interessi sarebbe triste. Le beatitudini, infine, sono lo specchio in cui guardarci, quello che ci permette di sapere se stiamo camminando sul sentiero giusto: è uno specchio che non mente». Per il Papa una Chiesa che presenta questi tre tratti — umiltà, disinteresse, beatitudine — è una Chiesa che «sa riconoscere l’azione del Signore nel mondo, nella cultura, nella vita quotidiana della gente». «L’ho detto più volte e lo ripeto ancora oggi a voi» afferma Francesco riprendendo l’Evangelii gaudium: «Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti». – Il primo sentimento è l’umiltà. L’ossessione di preservare «la propria gloria, la propria “dignità”, la propria influenza non deve far parte dei nostri sentimenti». La gloria di Dio non coincide con la nostra. La gloria di Dio che «sfolgora nell'umiltà della grotta di Nazareth o dalla vergogna della croce di Cristo ci sorprende sempre». – Un altro sentimento di Gesù che dà forma all’umanesimo cristiano è il disinteresse. «Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri» come chiede san Paolo. L’umanità del cristiano è sempre in uscita. «Non è narcistica, autoreferenziale» riprende Francesco. E citando l’Esortazione ricorda: «Quando il nostro cuore è ricco ed è tanto soddisfatto di se stesso, allora non ha più posto per Dio. Evitiamo, per favore, di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli». «La nostra fede – afferma Francesco – è rivoluzionaria per un impulso che viene dallo Spirito Santo. Dobbiamo seguire questo impulso per uscire da noi stessi, per essere uomini secondo il Vangelo di Gesù. Qualsiasi vita si decide sulla capacità di donarsi. È lì che trascende sé stessa, che arriva a essere feconda». – Il sentimento di Cristo Gesù della beatitudine. «Nelle beatitudini il Signore ci indica il cammino». «Per i grandi santi la beatitudine ha a che fare con umiliazione e povertà» ricorda il Papa. Ma anche nella parte più umile della gente c'è molto di questa beatitudine: «è quella di chi conosce la ricchezza della solidarietà, del condividere anche il poco che si possiede; la ricchezza del sacrificio quotidiano di un lavoro, a volte duro e mal pagato, ma svolto per amore verso le persone care; e anche quella delle proprie miserie, che tuttavia, vissute con fiducia nella provvidenza e nella misericordia di Dio Padre, alimentano una grandezza umile». Le due tentazioni da sconfiggere Francesco rileva in particolare due pericoli per la Chiesa italiana. – La prima tentazione è quella pelagiana. Quella che «spinge la Chiesa a non essere umile, disinteressata e beata. E lo fa con l’apparenza di un bene». Il pelagianesimo – spiega infatti Francesco – porta ad avere fiducia nelle strutture, nelle organizzazioni, nelle pianificazioni astratte. Spesso porta pure ad assumere uno stile di controllo, di durezza, di normatività. «La norma dà al pelagiano la sicurezza di sentirsi superiore, di avere un orientamento preciso. In questo trova la sua forza, non nella leggerezza del soffio dello Spirito». Per il Papa davanti ai mali o ai problemi della Chiesa non si deve cadere nell’eresia pelagiana cercando «soluzioni in conservatorismi e fondamentalismi, nella restaurazione di condotte e forme superate che neppure culturalmente hanno capacità di essere significative». Perché «la dottrina cristiana non è un sistema chiuso incapace di generare domande, dubbi, interrogativi, ma è viva. Ha volto non rigido, ha corpo che si muove e si sviluppa, ha carne tenera: si chiama Gesù Cristo». La stessa riforma della Chiesa poi, essendo la Chiesa semper riformanda, – dice il Papa – è aliena dal pelagianesimo. «Essa non si esaurisce nell'ennesimo piano per cambiare le strutture. Significa invece innestarsi e radicarsi in Cristo lasciandosi condurre dallo Spirito. Allora tutto sarà possibile con genio e creatività». Egli chiede così che la Chiesa italiana si lasci portare dal soffio dello Spirito. Sia una Chiesa libera e aperta alle sfide del presente, mai in difensiva per timore di perdere qualcosa. E, incontrando la gente lungo le sue strade, assuma il proposito di san Paolo: «Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno» (1 Cor 9, 22). – La seconda tentazione è quella dello gnosticismo. Questa porta «a confidare nel ragionamento logico e chiaro, il quale però perde la tenerezza della carne del fratello». Quella dello gnostico è «una fede rinchiusa nel soggettivismo», disincarnata e lontana dalla realtà e dal prossimo. La Chiesa italiana – afferma Francesco – ha grandi santi il cui esempio può aiutarla a vivere la fede con umiltà, disinteresse e letizia, da Francesco d'Assisi a Fillipo Neri. E cita anche i personaggi di Guareschi dove «la preghiera di un buon parroco si unisce alla evidente vicinanza con la gente». Vicinanza alla gente e preghiera sono la chiave «per vivere un umanesimo cristiano popolare, umile, generoso, lieto». «Se si perde questo contatto con il popolo fedele di Dio – riprende Francesco  –perdiamo in umanità e non andiamo da nessuna parte». Che cosa quindi sta chiedendo il Papa? Che cosa si deve fare? Rivolgendosi ai suoi interlocutori Francesco afferma: «Spetta a voi decidere: popolo e pastori insieme». E invitando di nuovo a guardare l’Ecce Homo chiede di immaginare «che cosa ci dice Gesù a ciascuno di noi e alla Chiesa italiana». «Potrebbe dire: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare… ma potrebbe anche dire: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere…». Ai vescovi il Papa chiede di essere pastori: «Sia questa la vostra gioia. Sarà la gente, il vostro gregge a sostenervi. Oltre la preghiera, quello che fa stare in piedi un vescovo, è la sua gente». Pastori non predicatori di complesse dottrine, ma annunciatori di Cristo. Chiede di puntare all’essenziale, al kerygma. «Non c'è nulla di più solido, profondo e sicuro di questo annuncio». «Ma – sottolinea Francesco – sia tutto il popolo di Dio ad annunciare il Vangelo, popolo e pastori, intendo». Due raccomandazioni A tutta la Chiesa italiana il Papa raccomanda in maniera speciale: 1. L’inclusione sociale dei poveri, che hanno un posto privilegiato nel popolo di Dio. 2. La capacità di incontro e di dialogo per favorire l’amicizia sociale, cercando il bene comune. Riguardo ai poveri Francesco ricorda che i poveri conoscono bene per esperienza i sentimenti di Cristo. «Penso allo Spedale degli Innocenti – dice ad esempio – Una delle prime architetture rinascimentali al mondo è stata creata per il servizio di bambini abbandonati e madri disperate. Spesso queste mamme lasciavano insieme ai neonati medaglie spezzate a metà, con le quali si sperava, presentando l’altra metà, di poter riconoscere i propri figli in tempi migliori. Ecco, dobbiamo immaginare che i nostri poveri abbiano una medaglia spezzata. Noi abbiamo l'altra metà. La Chiesa madre ha l’altra metà della medaglia di tutti e riconosce tutti i suoi figli abbandonati, oppressi, affaticati». Riguardo alla capacità di dialogo e di incontro Francesco insiste sul fatto che la Chiesa sia «fermento» di dialogo, di incontro tra culture e diverse comunità, di unità. Insiste sul non avere del dialogo perché «è proprio il confronto e la critica che ci aiuta a preservare la trasformazione della teologia in ideologia». E ricorda che «dialogare non è negoziare. Negoziare è cercare di ricavare la propria “fetta” della torta comune. Non è questo che intendo. Ma è cercare il bene comune per tutti. Discutere insieme, pensare alle soluzioni migliori per tutti. Anche se molte volte l'incontro si vede coinvolto nel conflitto ma questo non si deve né temerlo né ignorarlo, ma accettarlo risolvendolo e trasformandolo in un anello di collegamento di un nuovo processo. Ricorda inoltre che il modo migliore per dialogare «non è quello di parlare e discutere, ma quello di fare qualcosa insieme, di costruire insieme, di fare progetti: non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà». Questo nostro tempo – riprende – richiede di vivere i problemi e non di vederli come ostacoli: «Uscite per le strade e andate ai crocicchi: tutti quelli che troverete, chiamateli, nessuno escluso. Soprattutto accompagnate chi è rimasto al bordo della strada. Dovunque voi siate non costruite mai muri né frontiere». Il sogno di una Chiesa madre «Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà». L'umanesimo cristiano che si è chiamati a vivere – dice il Papa – afferma radicalmente la dignità di ogni persona come Figlio di Dio, stabilisce tra ogni essere umano una fondamentale fraternità, insegna a comprendere il lavoro, ad abitare il creato come casa comune, fornisce ragioni per l'allegria e l'umorismo, anche nel mezzo di una vita molto dura». Papa Francesco dicendo che non tocca a lui dire «come realizzare questo sogno» dà infine un’indicazione: di avviare in modo sinodale un approfondimento dell’Evangelii gaudium, per trarne criteri pratici e per attuarne le disposizioni.