Chiesa

Le parole della gratitudine. Dobner: «Dio è in tutto, la vita è dono»

Cristina Uguccioni giovedì 4 luglio 2024

Il monastero di Santa Maria del Monte Carmelo a Concenedo (Lecco)

Prende il via oggi una serie di interviste a personaggi e testimoni sul tema della gratitudine. L’orizzonte è quello dell’anno della preghiera, voluto da papa Francesco in preparazione al Giubileo del 2025. Ogni voce aiuterà a capire come, in ciascun ambito, la gratitudine sia un atteggiamento che aiuta ad aprirsi agli altri e all’Altro.

Per quanto il nostro tempo sia dominato dal diktat di farsi da sé, per sé, senza vincoli né debiti con alcuno, in realtà nessuno si fa da sé. Nella vita ogni essere umano prima o poi si accorge di essere costituito da “pezzettini” di altri, da saperi, valori, gesti, pensieri, sensibilità, convinzioni, cose buone che capisce di aver ricevuto da altri, persone che hanno fatto parte o continuano a far parte della sua vita: familiari, insegnanti, amici, sacerdoti, suore, santi, colleghi, scrittori, artisti, conoscenti. E, sopra ogni altro, Dio stesso, che continuamente genera e rigenera la vita di ciascuno. Questa consapevolezza, che nulla toglie alla propria irripetibile unicità, si accompagna, in genere, se non si è gonfi di superbia, alla gratitudine. Di questa dimensione nobile, gentile, irrinunciabile della vita conversiamo con Cristiana Dobner: teologa, carmelitana scalza, vive nel monastero di Santa Maria del Monte Carmelo a Concenedo (Lecco). Autrice di numerosi volumi, di recente ha pubblicato “Spiritualità dell’ascolto” (Salomone Belforte ed.)

Che ruolo svolge la gratitudine nella vita comunitaria di un monastero?

Se dovesse mancare crollerebbe tutto. Vorrebbe dire infatti che non siamo capaci di comprendere l’aiuto che dà ogni sorella vivendo al nostro fianco e sopportando i nostri limiti. C’è gratitudine quando, ad esempio, abbiamo avuto una giornata pesante e difficile e le altre consorelle pregano il Signore anche per noi, oppure quando, nella nostra vita domestica, ciascuna svolge i propri compiti a beneficio di tutte: siamo interdipendenti. Penso che la gratitudine sia il segno principale della nostra vita.

La preghiera di intercessione è anche preghiera di ringraziamento: nella vostra vita contemplativa ringraziate Dio a nome di tutti, anche di quelli che non Lo ringraziano mai.

Proprio così. Noi siamo ovunque ci siano esseri umani, pur restando ferme nel medesimo luogo. Ringraziamo Dio a nome di tutti non solo per i doni concreti che ciascuno riceve ma per la Sua Bontà. La nostra gratitudine parte dai doni e giunge al Donatore. Confidiamo che chi vive in una dimensione di ingratitudine prima o poi possa trovare proprio a partire da qui lo slancio verso la gratitudine. Ciò non avviene per nostri meriti personali ma perché ci lasciamo trapassare dallo Spirito che invoca il Padre: allora, dove si trova un terreno che non ha ancora conosciuto la gratitudine lì si getta il seme, con fiducia nell’azione dell’Altissimo.

Le giovani generazioni subiscono la pressione di una cultura dice in modo martellante: farsi da sé, essere sé stessi, autonomi, indipendenti. Come educarle alla gratitudine?

Anzitutto con l’esempio: mostrandosi adulti capaci di ringraziare e di riconoscere quanto di buono si riceve. E poi insegnando ai bambini a dire grazie e spiegando perché va detto. Così facendo i bambini capiranno che non è solo una parola da pronunciare per buona educazione: piano piano impareranno che nessuno è indipendente dagli altri. Impareranno una verità della vita: tutti noi viviamo non in una ragnatela oppressiva ma in una raggiera in cui siamo legati gli uni agli altri.

Cosa vorrebbe dire a chi sta attraversando un momento della vita difficile e doloroso o si sente sopraffatto dalle sofferenze e dalle ingiustizie presenti nel mondo e non riesce a scorgere motivi per i quali ringraziare Dio?

La gratitudine sorge quasi istintivamente quando nella nostra vita le cose procedono bene. Quando invece viviamo momenti di grave difficoltà la gratitudine può scomparire se nel frattempo non è diventata una postura radicata nel nostro intimo. È questa postura che consente di superare la strettoia del passaggio doloroso e permette di entrare nei larghi spazi della bontà di Dio.

Come si acquisisce questa postura?

La si acquisisce essendo oranti, vivendo la presenza di Dio in tutto, nella concretezza di ogni giorno. Dio è la nostra roccia, siamo sempre custoditi da Lui: bisogna educarsi e abituarsi a vivere in questa dimensione di fiducia e di gratitudine. Ciò non significa che bisogna ringraziare se si è colpiti da una sciagura o da una malattia: no! In quei casi si giunge faticosamente a una accettazione. Però sullo sfondo resta la gratitudine per la vita ricevuta che apre la possibilità di un cammino che – con l’aiuto concreto e la preghiera degli altri – piano piano porta a cogliere la possibilità di una maggiore luce. Penso ad esempio ad Edith Stein che entra ad Auschwitz e dice: “siamo nelle tenebre ma questa luce che ci viene donata dall’alto non perirà mai, risplenderà”. Una esperienza dolorosa può diventare trampolino per una riconoscenza non ingenua né banale, la riconoscenza di chi vive con i piedi per terra, da pellegrino verso la casa del Padre.

Eucaristia significa rendimento di grazie.

La gratitudine prima è lì. La presenza eucaristica è costante nella storia, continua a restare – nonostante tutti i nostri tradimenti – secolo dopo secolo: è segno di un dono smisurato fatto a noi umani, sempre pronti a misurare i doni da fare. E sempre pronti anche a tradire Dio. A volte pensando a Lui mi domando: ma chi glielo ha fatto fare di crearci, seguirci, continuare ad amarci? È davvero un amore senza misura, gratuito, il Suo. Noi non siamo capaci di giocarci così. Inoltre noi guardiamo prima al dono e poi al donatore mentre nella Trinità “dono-donatore-ricevente il dono” si compenetrano, tutto diventa un flusso continuo di gratitudine e di amore che si espande fino a noi.

Pensando alla sua vita, a chi desidera dire grazie?

Il primo grazie va ai miei genitori, che mi hanno generato, educato e portato a essere quella che sono, e a Dio che edifica e sostiene mia vita. Nutro riconoscenza anche verso figure che hanno testimoniato il valore e il significato dell’esistenza e hanno plasmato la mia visione del mondo: da Maritain e Levinas a Teresa di Gesù e Giovanni della Croce, due santi nei quali ho incontrato quella luce che ha illuminato la mia vita. Non dimentico però altre figure che sono state significative per me: ad esempio, Chiara d’Assisi, Tommaso d’Aquino, Ignazio di Loyola e coloro che, quando ero giovane, mi hanno testimoniato la spiritualità ignaziana, a cominciare dai cardinali Martini e Bea. Ma la mia riconoscenza va anche agli uomini e alle donne che ci hanno preceduto nella storia, a quella sterminata moltitudine di persone a cui dobbiamo le invenzioni e le meraviglie che ci circondano. Come l’invenzione, semplice e vitale, del pane.