«L'Eucaristia, oggi, racconta se stessa». L’efficace sintesi è di Edorardo Menichelli, arcivescovo di Ancona-Osimo a chiusura della mattinata dedicata al tema della tradizione e che ha visto tra le città protagoniste Senigallia. Il teatro
La Fenice e la sala della comunità
Gabbiano hanno ospitato testimonianze e riflessioni legate alla parte più estroversa dell’esperienza eucaristica. Trasmettere, testimoniare, comunicare la vita buona del Vangelo non è stato mai facile: «La folla che un attimo prima si nutre del pane moltiplicato dal Cristo rifiuta subito dopo il suo messaggio – fa notare nella lectio che ha accompagnato le lodi mattutine la teologa Donatella Scajola –, protesta quando sente il richiamo di Gesù a farsi dono. Un’incomprensione che dipende anche da aspettative sbagliate sullo stesso Cristo». Pensare all’Eucaristia pane del cammino chiama direttamente in causa la capacità di testimonianza. Conviene, allora, andare all’essenziale. Marco Vergottini, teologo dell’arcidiocesi di Milano, propone una riflessione che punta diritto alla necessità di «stare e dimorare con Lui». Soltanto dalla frequenza familiare e intima di Cristo, spiega, l’Eucaristia diventa comprensibile. «Fate questo in memoria di me: fate, cioè, la fine di Gesù». L’Eucaristia non è un semplice strumento che mette in contatto con Dio, ma è l’essenza di ciò che Dio stesso ha detto e vissuto. La vicenda umana di Gesù è un’esistenza vissuta tutta intera come servizio. Lui è presente e all’opera nei gesti e nei segni che comunicano la totale dedizione di sé. Fate questo in memoria di me non significa allora «celebrate questo», ma «fate così anche voi». Concepire la vita come un dono. Non un invito a ripetere formule, piuttosto consegnare se stessi alla causa di Gesù. È la logica conseguenza del comandamento «amatevi come io ho amato voi». Non c’è nulla di autenticamente umano che non trovi nell’Eucaristia una forma adeguata per essere vissuto. «È un pane che nutre e sostiene il desiderio di vita piena, di verità, bellezza, amicizia, giustizia e pace – sottolinea Vergottini –. Andare e stare con Gesù riaccende lo stupore e fa venire voglia di prendere il largo». Vivere la stessa vita del Cristo, questa è la testimonianza, secondo il teologo. Attestare ad altri ciò che è stato decisivo per noi, trasmettere senza tradire, tradurre bene, suscitare nell’altro la possibilità di incontrare davvero il Risorto, non attrarre a noi: «Questo è il vero senso della religione: la parola rimanda al verbo latino "redigere", l’atto di avere cura, portare riguardo. E contemporaneamente anche al verbo "religare", tenere unito il visibile e l’invisibile. Mettiamo insieme queste due radici, prendiamoci cura dell’altro e facciamo incontrare il vivere umano alla vita infinita». È Dio che ha scelto questa modalità, è sua l’iniziativa. «La sua presenza eucaristica non è né naturale né spiritualizzata. È invece simbolica e reale. Solo lo sguardo credente permette di riconoscerlo ed è una presenza attiva, propulsiva. È un’identità sinergica, mai statica». Da qui nasce la missionarietà: «Egli ci chiama in causa, invita a prendere parte a questo mistero. Non dobbiamo dimostrare "scientificamente" la presenza di Gesù a chi non crede. Dobbiamo semplicemente dimorare in Lui. Non sono io che dichiaro l’identità tra il pane e Gesù, ma riconosco questo dono che ci è dato. Questo il compito della Chiesa. Inviati nel mondo, nella fraternità, la memoria eucaristica si attiva nel servizio. La celebrazione per i suoi, la salvezza è per tutti».