Monsignor Edmond Djitangar, vescovo di Sarh, viene da un Paese, il Ciad, poverissimo e politicamente molto travagliato. Un Paese dove la Chiesa cattolica, seppur minoritaria, è una delle poche voci autorevoli e critiche. Anche perché è molto concretamente vicina alla popolazione e ai suoi bisogni.
Monsignor Djitangar, quali aspettative alla vigilia di questo secondo Sinodo per l’Africa? Innanzitutto porteremo il grido del continente. Faremo sentire la nostra voce. Troppo spesso sono altri che parlano per l’Africa. È tempo che la sua Chiesa dica qualcosa dal di dentro, a partire dall’esperienza di vicinanza con la sua gente. Credo che la Chiesa, più di chiunque altro, possa esprimere al meglio quello che vivono i nostri popo-li, e parlare a nome dell’Africa, con la speranza che l’Africa che sia finalmente ascoltata.
Che cosa chiedete in particolare modo? Di poter esprimere i nostri desideri, il nostro modo di pensare il futuro, di concepire lo sviluppo del continente. Che per noi significa ancora oggi poter vivere in maniere dignitosa, e non semplicemente sopravvivere. Vogliamo chiedere giustizia per tutti quelli che non possono parlare, mentre altri si arricchiscono alle loro spalle. Ricchezze non condivise. Un’ingiustizia che va anche contro la cultura africana di solidarietà, condivisione, sostegno ai più deboli... Penso che la Chiesa possa portare il grido e la speranza di questi popoli.
Giustizia, pace, riconciliazione sono i temi che guideranno le riflessioni del Sinodo. Ritiene che la scelta di queste problematiche sia particolarmente cruciale ed attuale? Certamente. L’esperienza del genocidio del Ruanda ci ha fortemente colpito e traumatizzato, travolgendo il primo Sinodo. Ancora oggi le Chiese d’Africa devono confrontarsi con guerre, conflitti, profughi, rifugiati... Ci chiediamo come la Chiesa possa portare in questo campo un messaggio credibile e accettato. Certo, non possiamo dare risposte a tutti questi problemi. Ma possiamo garantire una costanza di presenza vicino alle vittime e ai più poveri. Dobbiamo convincere noi stessi che per quanto poco, è un contributo importante e positivo. E che potremmo fare ancora di più, specialmente nei settori dell’educazione, della sanità, dell’Aids o dei profughi.
E nel campo dell’evangelizzazione, c’è ancora molto da fare? Vediamo le nostre chiese sempre piene di persone e di moltissimi giovani. Questo ci conforta, ma non ci esime dal continuare un lavoro fondamentale, per un’evangelizzazione che sia più consapevole e in profondità. Si dice il Continente africano sia quello che cresce di più dal punto di vista numerico. Questo però non significa che non ci siano problemi. Lo testimonia il fatto che molti nostri fedeli passano alle sètte. Vogliamo e dobbiamo dunque riflettere sul perché la fede cristiana non si incarni veramente nell’animo africano e cercare di approfondire questa riflessione per dare un contributo positivo all’evangelizzazione vera e profonda dell’Africa.
Diverse Conferenze episcopali africane chiedono, alla vigilia del Sinodo, che si arrivi a decisioni concrete e applicabili, affinché questa Assemblea possa avere realmente delle ripercussioni sulla vita delle Chiese d’Africa. Qual è il suo punto di vista? Penso che dobbiamo impegnarci affinché le risoluzioni del Sinodo possano trovare concretezza nella vita delle nostre Chiese. Devono farlo le università, i seminari e le diverse strutture ecclesiali, bisogna tradurre le risoluzioni del Sinodo in orientamenti pastorali locali. Una cosa importate è investire nelle comunicazioni, affinché anche dopo il Sinodo si possa fare uno sforzo di riflessione e coscientizzazione. E ci piacerebbe che tutti coloro che stanno cercando di dar voce a questo Sinodo, specialmente i media cattolici e le riviste missionarie, continuino a farlo anche dopo, per favorire un altro sguardo sull’Africa e sulla sua Chiesa.