Il segno. Di nuovo pellegrini in Terra Santa. Sedici mesi dopo, nel segno di Maria
A bordo dell’aereo anche la statua della Madonna di Loreto. Monsignor Remo Chiavarini, amministratore delegato dell’Opera romana pellegrinaggi (Orp): abbiamo davvero bisogno della sua protezione. A Gerusalemme un momento della celebrazione a Casa Filia Sion
«Riusciamo straordinariamente a riportare la Madre a casa sua. Abbiamo davvero bisogno della sua protezione affinché i voli e i viaggi possano riprendere». A parlare è monsignor Remo Chiavarini, amministratore delegato dell’Opera romana pellegrinaggi (Orp), che dopo sedici mesi di pausa forzata dovuta alla pandemia di Covid-19 riesce a portare di nuovo un gruppo – tra guide, pellegrini e giornalisti – in Terra Santa. I primi pellegrini italiani da più di un anno. Con loro, a bordo dell’aereo della compagnia israeliana El Al, anche la statua della Madonna di Loreto, patrona dell’aviazione, che riprende il suo cammino, interrotto nel 2020 a causa dell’emergenza sanitaria. «La porteremo a Nazaret – sottolinea il sacerdote –, nella Basilica dell’Annunciazione e nella chiesa di San Giuseppe, là dove Maria è nata e vissuta».
A guidare il gruppo è il cardinale Enrico Feroci, parroco di Santa Maria del Divino Amore a Castel di Leva e rettore del Seminario della Madonna del Divino Amore. «Si riparte – commenta il porporato – e ciò non significa tornare a fare quello che si faceva prima, ma partire nuovamente, cioè in modo nuovo, con delle novità. Con questo pellegrinaggio vogliamo mettere al centro non i luoghi, ma il Signore Risorto, e rinsaldare quel legame tra la Chiesa Madre, che è Gerusalemme, e la Chiesa Capo, quella di Roma. Il Covid ci ha separato: non solo le famiglie, ma anche le Chiese, eppure noi vogliamo superare questa separazione e tornare alla comunione originaria».
Segno concreto dello stretto legame tra Roma e Gerusalemme è la Casa Filia Sion, struttura della diocesi di Roma aperta poco più di due anni fa nel cuore della città, a trenta metri dalla Porta di Damasco, su quella Nablus Road che fu teatro di scontri nelle scorse settimane. Una cappellina, un grande salone che fa da refettorio come da biblioteca, alcune camere che possono ospitare sacerdoti, seminaristi e laici, per un totale di otto posti letto. E poi la piccola stanza di don Filippo Morlacchi, sacerdote fidei donum della diocesi di Roma che vive stabilmente a Filia Sion e la gestisce, e che in questi giorni accompagna i pellegrini italiani. Lunedì sera si è celebrata la Messa nella cappellina della casa, con la benedizione da parte del cardinale Feroci del nuovo altare. Sotto il piano marmoreo erano già collocate le reliquie di quattro luoghi santi – Natività, Cenacolo, Getsemani e Calvario –, mentre durante la celebrazione è stata posta l’ultima, quella del Santo Sepolcro.
«Questa struttura è un ponte tra Roma e Gerusalemme, ed è un sogno che avevamo da quindici anni – dice don Morlacchi –. Non è un albergo ma una casa dove appunto si vive insieme, e ciascuno mantiene ampi spazi di libertà. L’idea è che chi viene qui si senta a casa sua». Di fatto da quando è stata aperta, poco prima della pandemia, non ha potuto ospitare un gran numero di persone. Eppure la formula piace, tanto che, sottolinea ancora il sacerdote fidei donum, «di tutti quelli che ho accolto, più della metà sono tornati due volte». La casa dovrebbe servire anche ai preti che poi vorranno accompagnare gruppi in Terra Santa. «Riaprire i flussi dei pellegrinaggi – sottolinea ancora il cardinale Feroci – vuol dire ribadire la nostra vicinanza, perché la nostra fede non deve poggiare solo su un discorso teologico, ma anche esperienziale. Questo significa non solo vedere i luoghi santi, ma incontrare la Chiesa che vive e opera lì oggi.
Nell’itinerario che sta compiendo il gruppo romano, infatti, non mancano le visite al Santo Sepolcro, alla Spianata delle Moschee, alla Sinagoga Hurva e alla Cupola della Roccia; ma numerose sono anche le occasioni di incontro con religiosi e sacerdoti che svolgono in loro ministero in Medio Oriente. È il caso, ad esempio, di padre Ibrahim Faltas, che illustra al gruppo italiano il “Piccirillo Handicraf Center” di Betlemme, un laboratorio della Custodia di Terra Santa dove persone marginalizzate realizzano manufatti in madreperla e non solo. Tanti, pure, i momenti di preghiera; durante le celebrazioni non manca l’intenzione e l’affetto per il Santo Padre, Vescovo di Roma, in questi giorni di malattia.
Sacerdoti come guide. Non solo della diocesi
Tornare in un luogo dopo più di un anno comporta verificare che lì ci si possa spostare in sicurezza, siano aperti tutti i siti da visitare… Perciò, a questo primo pellegrinaggio post-Covid organizzato dall’Opera romana in Terra Santa, partecipano diverse guide. «Si tratta di sacerdoti della diocesi di Roma ma anche di altre diocesi che ci aiutano nella conduzione dei nostri pellegrinaggi in Terra Santa», spiega don Savino Lombardi, assistente spirituale dell’Orp. «Un pellegrinaggio – prosegue – è sempre un atto di culto, perché prevede anche diverse celebrazioni. Quindi le guide hanno avuto, nel corso del tempo, una formazione da parte nostra sia dal punto di vista archeologico, che pastorale e tecnico per affrontare il viaggio». Se la pandemia ha bloccato i viaggi, non si è però fermato il lavoro dell’Opera romana: «Il nostro centro pastorale ha avuto contatti frequenti con tutte le guide, per aggiornare sulla situazione e portare avanti la formazione».