Milano. Delpini: tocca a noi tutti far fronte a questa emergenza spirituale
L'ingresso dell'arcivescovo di Milano, Mario Delpini, in Sant'Ambrogio per il discorso alla città. Presenti i sindaci della diocesi
«Tocca a noi, tutti insieme», affrontare l’«emergenza spirituale» innescata dalla pandemia ma che ha la sua «radice antica» nella cancellazione del «riferimento a Dio da gran parte della cultura occidentale».
Una «censura» che ha «impoverito il pensiero» e rimosso «il fondamento della speranza». Tocca a noi, tutti insieme, «dare volto a percorsi condivisi», assumere la «responsabilità di una visione» i cui «tratti fondamentali» sono «la famiglia, cellula che genera la società e il suo futuro», «la vocazione alla fraternità tra le persone e all’amicizia tra i popoli», la consapevolezza che «possiamo avere fiducia». Tocca a noi, tutti insieme, «scrivere una storia migliore» affrontando «il compito irrinunciabile dell’educazione» e «la costruzione della comunità plurale».
L’occasione: il Discorso alla città e alla diocesi che il presule ha pronunciato questa sera nella Basilica di Sant’Ambrogio, durante i Vespri per la solennità del patrono (trasmessi in diretta dai media diocesani e da Rai 3, a cura della Tgr Lombardia, con il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, nella veste di commentatore).
Come? Offrendo una lettura – sapiente e sapienziale – di questa drammatica stagione storica. Additando una «visione», chiamando alla «condivisione», invocando una «decisione», un «tocca a noi» che interpella la comunità cristiana e – nell’alveo di una «tessitura di alleanze» – convoca tutte le componenti della società milanese. Il «tocca a noi» è la risposta del cristiano che «intende la vita come vocazione a dare gloria a Dio nel servizio dei fratelli», sottolinea l’arcivescovo. «Tocca a noi, devoti al nostro patrono sant’Ambrogio, farci avanti, come è toccato a lui entrare in una Chiesa segnata da conflitti e confusioni, per dare volto all’umanesimo ambrosiano». Ma nessuno è escluso dall’appello. Perché «siamo tutti sulla stessa barca e ci si può salvare solo insieme», ricorda papa Francesco. E serve una visione – come quella dell’enciclica Fratelli tutti –, serve «sognare insieme» – come insegnava il cardinale Carlo Maria Martini – per dare fondamento alla società, motivazione all’economia, «mantenere l’identità di un popolo anche nella molteplicità delle sue componenti».
I tratti irrinunciabili di questa visione? La famiglia (la cui «centralità» è «la condizione per il benessere di tutti», e che le istituzioni sono chiamate a sostenere), la vocazione alla fraternità, la fiducia che «aggiustare il mondo» è possibile. Perché la visione divenga «sogno condiviso» e cammino condiviso, ci sono «due compiti irrinunciabili, complicati, drammatici» che «tutti insieme» dobbiamo affrontare: l’educazione – libertà e responsabilità dei genitori, in alleanza con le istituzioni, la società, la Chiesa – e la costruzione della comunità plurale – dove scegliere «se essere vittime di una globalizzazione delle paure e degli scarti o protagonisti nell’edificazione di una comunità plurale che pratichi la cultura dell’incontro».