Chiesa e covid /1. De Rita: la Chiesa ha smarrito il gregge durante la pandemia
Il sociologo Giuseppe De Rita
(Questo articolo si inserisce in un dibattito costituito da tre articoli)
L’immagine usata è quella del gregge smarrito. Richiamo evidente alla parabola evangelica, con la differenza che qui a essersi persa non è un’unica pecora che il buon pastore ora cerca lasciando sul monte le altre novantanove. Si tratta invece di rispondere a un disagio più diffuso, al malessere di quella parte di mondo cattolico per niente soddisfatto dalla posizione assunta nell’anno della pandemia dalla Chiesa italiana, di cui sottolinea l’irrilevanza, l’eccessiva sottomissione, l’autoreferenzialità.
Una "denuncia" fotografata e interpretata dall’associazione "Essere qui", nata da un gruppo di amici guidati dal sociologo Giuseppe De Rita con Liliana Cavani vicepresidente e, tra i soci, Gennaro Acquaviva, Ferruccio De Bortoli, Mario Marazziti, Romano Prodi e Andrea Riccardi.
Il risultato è una ricerca confluita nel volume appena pubblicato da Rubettino: "Il gregge smarrito". Chiesa e società nell’anno della pandemia (164 pagine, 15 euro, ebook 8,99). Non un semplice atto d’accusa, spiegano gli autori, semmai uno stress test o, per dirla in termini più consueti, un esame di coscienza, un "discernimento" sia interno alla Chiesa istituzione sia dal punto di vista dei fedeli, necessario per poi poter ripartire con maggiore vigore e consapevolezza del tanto che i cattolici possono offrire nella costruzione del bene comune.
In proposito, secondo la ricerca, la crisi legata al Covid ha fatto emergere alcune criticità latenti nella Chiesa da tempo, come «lo scollamento con la società reale, la distanza tra fedeli e pastori, l’irrilevanza nel pensiero socio-politico».
È risultato evidente, spiega il professor De Rita, «il distacco crescente, forte, che già c’era, tra evangelizzazione e promozione umana. Una separazione che riconduce alla lezione ruiniana, a suo tempo fatta propria da tutta la comunità ecclesiale italiana, secondo cui la Chiesa c’è per evangelizzare, per praticare il Vangelo e non per trasformare la società. Una condizione che durante la pandemia si è rivelata ancora più controproducente, nel senso che il sociale nella realtà ecclesiale non esisteva e quindi non poteva reagire. Si doveva fatalmente ritornare soltanto all’evangelizzazione, per la quale però non c’era più energia pastorale».
Quindi evangelizzazione e promozione umana devono procedere insieme.
Traggono forza l’una dall’altra. Se ne privilegi solo una uno salta tutto. Con la pandemia ce ne siamo accorti. In campo sociale la Chiesa ha manifestato la sua irrilevanza, l’incapacità di discutere con il potere mentre l’evangelizzazione, con le chiese vuote e senza Sacramenti, non è riuscita ad affermarsi.
In qualche modo secondo voi si è creato un fossato tra Chiesa e società.
Durante la discussione del Comitato preparatorio sul titolo da dare al Convegno ecclesiale nazionale del 1976, il segretario generale della Cei, monsignor Enrico Bartoletti impose quello che lui chiamava "l’et et", nel senso che la Chiesa non vive di contrapposizioni, di "aut aut". Non l’una o l’altra ma insieme, "et et" appunto. Una cultura ecclesiale, quella di Bartoletti, che abbiamo dimenticato.
Tra i dati evidenziati dalla vostra ricerca uno colpisce in particolare: per il 39% degli italiani e per il 50% dei praticanti, durante la pandemia la Chiesa ha accettato troppo acriticamente le decisioni del governo.
A molti cattolici è sembrato quasi stravagante che la Chiesa accettasse ogni cosa, non discutesse su nulla, che il Papa chiedesse di obbedire all’ordine delle autorità. Che può anche essere giusto nel rapporto con lo Stato ma non dal punto di vista della dimensione partecipante della Chiesa, che anziché esplodere in campo pubblico si è rannicchiata nel privato. C’è tanta gente che in pieno lockdown ha continuato ad andare a Messa magari in chiese periferiche, da amici preti, e molti fedeli erano arrabbiati perché non si celebravano funerali. Ma questa rabbia, questo disagio, li abbiamo tenuti dentro perché in fondo pensavamo che anche se ci fossimo esposti pubblicamente nessuno ci avrebbe dato retta.
E questo vale per la Chiesa a tutti i livelli?
Anche noi laici non siamo stati capaci di uno scatto d’orgoglio, per dire ad esempio che non si può rinunciare all’Eucaristia. Siamo stati irrilevanti non in termini di potere ma di cultura del sociale, del significato sociale di essere cattolici, di essere Chiesa..
Da questa situazione come si esce, quali soluzioni possono essere praticate?
Il nostro gruppo non avanza proposte, non vuole fare politica ecclesiale, non intende mettersi dentro discussioni e assumersi responsabilità che sono della gerarchia. Noi facciamo delle riflessioni a latere, diciamo quello che vediamo, ci limitiamo a fornire un input, perché dare un output sulla base di poche conoscenze e verifiche sarebbe un’avventura idiota.
Un’indicazione però la date, quella di "cercare la Chiesa fuori dalla Chiesa".
Oggi è il problema più importante. Le faccio l’esempio di due amici morti in casa e che non potendosi celebrare i funerali sono stati messi su un furgone per essere portati al luogo dove sarebbero stati cremati. Il parroco però ha voluto che passassero davanti alla parrocchia ed è uscito per un segno di benedizione. Ma quanti hanno fatto come lui? Credo pochissimi. La pandemia ha dimostrato che gli uomini di Chiesa non hanno saputo fare un passo oltre la soglia.
Vogliamo spiegare cos’è l’associazione Essere qui che ha realizzato la ricerca?
Nasce da un mio testo furibondo scritto durante la pandemia, quando ci è stato comunicato l’interdetto ad andare in chiesa, Una dozzina di pagine che mandai ad alcuni amici suscitando reazioni diverse. Qualcuno ha detto "lasciamo perdere", "stiamo buoni", altri invece hanno pensato che fosse bene andare avanti, realizzare un documento più lungo ed articolato. Ne è venuto fuori un secondo testo, meno fiammeggiante, dopodiché si è pensato di fare un passo ulteriore. E abbiamo realizzato una ricerca basata su mille interviste tra i fedeli italiani, poi accompagnata da un testo di commento. Anche la formazione del gruppo è avvenuta progressivamente, alcuni di quelli che all’inizio erano più arrabbiati li abbiamo persi, mentre è arrivato chi era interessato a un’attività quasi scientifica di analisi e di ricerca demoscopica. Devo dire che ripensandoci mi sorprendo di come tutto sia stato all’insegna della spontaneità totale. È la prima volta che nella Chiesa italiana si forma un gruppo organizzato senza assistenza ecclesiastica, senza timbri, senza decreto del parroco o del vescovo.