Il calo delle vocazioni? È una realtà con cui gli istituti religiosi sono chiamati a fare i conti, rilanciando al tempo stesso il proprio carisma con linguaggi non obsoleti. Ma puntare sui «serbatoi» di chiamate all’estero non è la strategia giusta. «Occorre non perdere la speranza ed essere convinti che il Signore continua a chiamare alla vita consacrata proprio là dove una congregazione è sorta e affonda le sue radici». Lo sostiene, con dati alla mano raccolti in otto anni d’esperienza, il messicano Germán Sánchez Griese, laico consacrato del Regnum Christi, organizzatore in tutto il mondo di corsi per animatori vocazionali. Gli inviti a tenere i corsi arrivano da superiore generali di alcuni istituti e pure dalle stesse diocesi nella capitale peruviana Lima come nella spagnola Avila, in Bolivia come nel Messico. In Italia, da lunedì scorso fino a domani, Sánchez sta guidando l’incontro internazionale di animazione vocazionale voluto dall’Istituto di scienze religiose dell’Ateneo pontificio Regina Apostolorum, che ha registrato un successo nelle adesioni pervenute da India e Stati Uniti, Cile e molti Paesi europei. Circa 110 i partecipanti – soprattutto suore di una settantina di congregazioni, con qualche laico e sacerdote – giunti per imparare a coltivare «nel proprio orto» i germi di una chiamata a seguire Cristo. «La novità di questo incontro romano, rispetto ai precedenti – riferisce Sánchez – è anzitutto l’apertura per la prima volta alla presenza di religiose straniere provenienti da tutto il pianeta, con traduzione simultanea in cinque lingue e la possibilità di ascoltare le testimonianze di chi ha già frequentato il corso e può raccontarne i successi, ma anche i fallimenti». Così mercoledì mattina suor Elvira Maria de Witt ha riferito come nella laicissima Olanda – dove i non credenti sarebbero poco meno di un terzo della popolazione, che supera i sedici milioni e mezzo di abitanti – si è servita di Internet per far conoscere il suo convento tramite un blog. E fra le ragazze che hanno iniziato a scrivere, le novizie – assicura la religiosa, ex cantante lirica originaria di Amsterdam – non sono tardate ad arrivare: almeno due all’anno. Un risultato sorprendente. È successo anche ad altre suore nel nostro Paese: dopo aver attuato per sette o otto anni le metodologie apprese, hanno visto sorgere nuove vocazioni autoctone, italiane al cento per cento.
Quei «ponti» fra il pub e la chiesaMa quali sono le «strategie» da mettere in atto per far arrivare ai giovani la proposta di un’esistenza dedicata a Dio e al servizio dei fratelli? Premettendo la preghiera in ogni caso, bisogna anzitutto fare i conti «con le fragilità umane e affettive, che non consentono alla persona di maturare e quindi di optare per una scelta definitiva», avverte Sánchez. Difficoltà che toccano anche la vocazione al matrimonio. Quindi, per contribuire a lanciare una nuova pastorale vocazionale, occorre esplorare il mondo giovanile e proporre un cammino di fede. «Contattare, coltivare, concretizzare: sono le tre "c" che scandiscono il percorso», riferisce il coordinatore dell’iniziativa. Significa sapere che i giovani si incontrano nei pub, che le ragazze amano i cosmetici, ad esempio, accompagnandoli «con le loro debolezze nella preghiera, nel volontariato, nella frequenza ai sacramenti, nella direzione spirituale». Con una convinzione di fondo: «Ad attrarre è la testimonianza coerente. Quindi, più che crisi della pastorale vocazionale, è in crisi la nostra identità. Se siamo autentici e non abbiamo fretta, lasciando che nei ragazzi cresca gradualmente l’impegno prima umano e sociale e poi di fede, i risultati arrivano».