Chiesa

Guerra in Ucraina. I vescovi polacchi: accogliere tutti, senza discriminazioni

Redazione Internet giovedì 17 marzo 2022

Un rifugio per i profughi ucraini a Przemysl, nel sud-est della Polonia, Paese che ha accolto 2,4 milioni di fuggiaschi dalla guerra

«Invitiamo i responsabili dell’aggressione contro l’Ucraina ad interrompere quanto prima le operazioni militari e ad intraprendere sforzi per una pace giusta». L’appello arriva dai vescovi polacchi al termine della plenaria svoltasi a Varsavia in una dichiarazione nella quale parlano di «ingiustificata aggressione della Russia contro l’Ucraina indipendente e sovrana, governata dai principi democratici». I presuli si dicono «profondamente commossi dalla tragedia della guerra», chiedono «ai responsabili dello scoppio dell’aggressione contro lo Stato e il popolo ucraino di porre fine al più presto alle ostilità e di compiere ogni sforzo per raggiungere una pace giusta», e aggiungono: «Condanniamo fermamente gli attacchi contro la popolazione civile, che hanno provocato ingenti vittime, soprattutto tra donne e bambini» invitando a «pregare con fervore per la pace». Poi ringraziano quanti «nel nostro Paese hanno fornito e continuano ad offrire un aiuto generoso e disinteressato alle nostre sorelle e ai nostri fratelli che sono rimasti in Ucraina e a coloro che sono giunti in Polonia, cercando presso di noi un rifugio dall’incubo della guerra». Uno sforzo che richiede un impegno di ampio respiro: è chiara infatti «la necessità di un aiuto organizzato e a lungo termine – che comprenda l’accoglienza, la protezione, la promozione e l’integrazione – per coloro che decidono di rimanere nella nostra Patria. Le autorità statali, i governi locali e le organizzazioni non governative svolgono qui un ruolo speciale».

Foto Episkopat.pl

In una sua nota diffusa al termine dei lavori dell’assemblea la Commissione episcopale per l’emigrazione ricorda che nell’accoglienza «è inaccettabile essere guidati da motivi razziali, nazionali, religiosi o di altro tipo. Mettiamo in guardia contro lo sfruttamento del dramma dei rifugiati per giochi politici e la diffusione di menzogne volte a suscitare umori xenofobi». Un gran numero di ucraini sta trovando rifugio in terra polacca, soprattutto grazie al grande sforzo della Chiesa e al cuore della gente, oltre che alla mobilitazione delle istituzioni: sono «oltre 1,7 milioni» i profughi che «dal primo giorno di guerra hanno trovato un rifugio sicuro in Polonia, nelle case delle famiglie polacche, nelle parrocchie, nei monasteri, nelle case di ritiro, nei luoghi organizzati dalle amministrazioni locali e in quelli messi a disposizione da imprenditori (alberghi, pensioni, case di riposo, ecc.), nelle scuole (dagli asili nido alle università). Con profonda compassione – aggiungono i vescovi – cerchiamo forme di reazione possibili e adeguate a questo dramma inimmaginabile». L’episcopato polacco sente anzitutto il dovere di esprimere tutta la sua gratitudine «a tutti coloro che tempestivamente si sono mossi per aiutare i profughi di guerra. Si tratta di una moltitudine di volontari, impegnati non solo sul confine polacco-ucraino, ma anche in tutto il Paese e, nonostante il pericolo per la propria vita, in Ucraina». Il ringraziamento raggiunge «Caritas Polska e le Caritas di tutte le diocesi, le comunità parrocchiali, le organizzazioni non governative e tutta la moltitudine di persone di buona volontà. Aiutare i rifugiati è un’autentica testimonianza dell’atteggiamento veramente umanitario e cristiano. Le attività della base e spontanee degli ultimi giorni sono esempi della straordinaria immaginazione della misericordia, che permette di superare i propri agi e le proprie abitudini per far fronte con sollecitudine alle ferite del prossimo. Nessun gesto disinteressato e nessun sostegno dimostrato sarà dimenticato da Dio. Nella fuga delle madri con bambini, nei malati e negli anziani, vediamo oggi la Sacra Famiglia che fugge dalla morte in Egitto».

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L’organismo dell’espiscopato polacco rivolge «parole di amore fraterno a tutti coloro che cercano rifugio nel nostro Paese. Vogliamo assicurare loro piena solidarietà, benevolenza e apertura alle loro necessità. In questo momento difficile, nessuno di loro può essere lasciato solo. Indipendentemente dalla religione, ci uniamo a loro in comunione di dolore e compassione, ma anche con la speranza che sgorga dalla fede che la malvagità e la barbarie non avranno mai l'ultima parola». L’accoglienza di questi giorni è però solo il primo passo: «In una prospettiva a lungo termine – scrive la Commissione episcopale per l’emigrazione – il nuovo arrivato e la comunità devono affrontare ulteriori compiti legati al processo di integrazione. In una tale situazione, l’ingresso dei rifugiati nella società richiede loro di diventare indipendenti, e ciò è intrinsecamente correlato all’accettazione della cultura locale, delle norme vigenti e al rispetto delle regole di sicurezza sociale. La situazione attuale richiede uno sforzo per gestire con saggezza il processo di integrazione sociale. È necessario prepararsi e avviarlo il prima possibile, tenendo presente non solo la cura dell’integrazione dei rifugiati nella società polacca, ma anche sostenendo l’integrazione all’interno della stessa comunità ucraina in Polonia e rafforzando le sue risorse, in modo che i suoi rappresentanti siano anche in grado – quando ciò sarà possibile – di tornare nel proprio Paese e intraprenderne la ricostruzione». Il documento ricorda poi che l’accoglienza dei profughi di guerra – ora e nei mesi a venire – deve ispirarsi ai quattro punti fermi indicati più volte da papa Francesco parlando di pace e di migrazioni sotto forma di verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare.

Per «accogliere» i vescovi polacchi indicano che «nelle attività pastorali, dovrebbero essere compiuti sforzi per trovare luoghi e adattarli ad alloggi per famiglie di profughi al di fuori degli alloggi collettivi. Il metodo dei campi profughi porta sempre con sé patologie, mancanza di accesso all’istruzione, all’assistenza sanitaria, approfondisce il sentimento di isolamento dei rifugiati e della loro emarginazione in ogni dimensione della vita».

Quanto al «proteggere» la nota affronta con chiarezza un punto nevralgico: «Di fronte alla bestialità della guerra, ogni persona ha uguale diritto al soccorso e all’aiuto. Vale la pena ricordare che dall’Ucraina dilaniata dalla guerra fuggono non solo i rifugiati di origine ucraina. Vorremmo ancora una volta ricordare che offrendo un rifugio, è inaccettabile essere guidati da motivi razziali, nazionali, religiosi o di altro tipo. Mettiamo inoltre in guardia contro lo sfruttamento del dramma dei rifugiati per giochi politici e la diffusione di menzogne e manipolazioni volte a suscitare pericolosi umori xenofobi. Nell’insegnamento della Chiesa e negli incontri con i rifugiati, cerchiamo di sensibilizzarli al pericolo di diventare vittime della tratta degli esseri umani. C’è anche la tentazione di pratiche inaccettabili di sfruttamento dei nuovi arrivati e offrire loro salari sottopagati. Le donne single, madri con figli, sono particolarmente vulnerabili a subdole attività criminali».


Il «promuovere» si declina su più piani: anzitutto viene indicata «la necessità di organizzare lezioni di lingua polacca, sia per bambini e adolescenti, sia per adulti. Le attività sistematiche nelle scuole possono e devono essere integrate dall’organizzazione del volontariato degli insegnanti, anche nelle parrocchie». Ai catechisti si chiede di «sensibilizzare gli studenti durante le lezioni di religione alla necessità di un’apertura fraterna ai compagni ucraini». Non meno importanti sono le attività per sostenere «il diritto all’educazione, all’istruzione, all’accesso all’assistenza sanitaria, all’agevolazione delle formalità per trovare un lavoro nelle immediate vicinanze e all’assistenza sociale», tutti «campi in cui è necessario essere solleciti nell’aiuto».

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Si riesce infine a «integrare» solo se si è determinati e chiari nella concretezza: perché se è vero che serve «uno sforzo dei rifugiati per conoscere la lingua e la cultura» polacche della nostra Patria, occorre un impegno basato «sulla nostra volontà e sui nostri sforzi per conoscere la cultura degli arrivati». Il terreno dell’accoglienza è la vita quotidiana: si «inizia con l’accompagnamento dei rifugiati nei loro primi passi nelle vicinanze della loro residenza, indicando affabilmente luoghi importanti per la comunità locale (ad esempio dove si trovano il cinema, il teatro, il centro sociale, il luogo per fare sport). Le festività per noi importanti (statali e religiose) sono accompagnate da usi, costumi e celebrazioni specifiche. Quanto sarà importante in questo caso invitare anche i nuovi arrivati, con una spiegazione adeguata. Una corretta integrazione con la società polacca significa anche creare opportunità per i rifugiati di incontrarsi all’interno della propria comunità in modo che possano coltivare le tradizioni della loro Patria abbandonata e condividerle con la società ospitante». Un’importante sottolineatura riguarda poi la fede degli ospiti e l’atteggiamento da tenere: «La stragrande maggioranza degli attuali rifugiati – ricorda il documento dell’organismo espressione della Conferenza episcopale polacca – sono fedeli ortodossi. È opportuno che la sollecitudine per gli aiuti umanitari e tutte le attività di integrazione avvengano in collaborazione con il clero e i fedeli delle strutture della Chiesa ortodossa presenti in Polonia. Vanno evitati i comportamenti che potrebbero far sorgere il sospetto di proselitismo».

La Polonia già ospita da anni un totale di due milioni di emigrati ucraini, che nel Paese confinante hanno cercato lavoro, ospitalità e riparo dalle tensioni degli ultimi anni. Ora si aggiunge questa nuova ondata di rifugiati. La Chiesa polacca invita dunque al realismo e alla prudenza: «L'accoglienza di migranti e rifugiati – si legge ancora nella lunga nota – comporta inevitabilmente delle tensioni nella società ospitante. Molto spesso sorgono sullo sfondo dell'accesso alle risorse, della concorrenza per i posti di lavoro, della sensazione di trattamento iniquo nel campo dell'istruzione, dell'assistenza sanitaria o della possibilità di utilizzare l'assistenza sociale. Esiste il pericolo reale che l'ospitalità spontanea e la cordialità da parte dei polacchi nel lungo periodo si trasformino in riluttanza nei confronti dei profughi». Descritta la «sfida», si indica la necessità di «un sapiente accompagnamento pastorale ai processi di aiuto e di integrazione. La voce pastorale, chiarificatrice e conciliante dei sacerdoti può essere di grande importanza nel plasmare il clima sociale». In azione ci sono ombre dalle quali la Chiesa polacca invita a gurdarsi: «Lo scenario peggiore in questo caso è sempre che gruppi sociali e politici populisti utilizzino le difficoltà che si presentano per i propri interessi».

Per neutralizzare le insidie e dar vita a un processo di integrazione vera la strada è quella già seguita in altri progetti di solidarietà internazionale, e che l’Italia conosce bene: «Una famiglia (o più famiglie) si faccia carico di una famiglia ucraina, principalmente sotto forma di accompagnamento, tempo dedicato, introduzione alla vita della nostra società, alla ricchezza della nostra cultura, alla bellezza della vita religiosa, ma anche sotto forma di assistenza materiale, se necessario».

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Sullo sfondo di questo sforzo umano e pastorale c’è l’insegnamento del Santo Padre: «Vogliamo ricordare a tutti i fedeli, con papa Francesco, che in ciascuno dei profughi "è presente Gesù, costretto, come ai tempi di Erode, a fuggire per salvarsi. Nei loro volti siamo chiamati a riconoscere il volto del Cristo affamato, assetato, nudo, malato, forestiero e carcerato che ci interpella. (Mt 25, 31-46). Se Lo riconosciamo, saremo noi a ringraziarlo per averlo potuto incontrare, amare e servire". (Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, 2020)». Parole che assumono un significato particolare in questa Quaresima di guerra e di solidarietà: «Accompagnando la Via Crucis dei profughi che sperimentano la guerra, la sofferenza e la paura per i loro cari – sull'esempio di santa Veronica e Simone di Cirene – non perdiamo l'occasione per alleviare la loro situazione, in misura delle possibilità, della competenza e della sensibilità di ognuno di noi». I vescovi polacchi insistono sull’«incoraggiare i sacerdoti insieme ai loro parrocchiani a non cessare di essere solleciti nell'aiuto. Oggi molto dipende dalla parola e dalla disponibilità dei sacerdoti a intraprendere attività pastorali. Il Buon Samaritano, che non è rimasto indifferente alla sventura del prossimo, sia l'esempio di misericordia per tutti i sacerdoti».

Infine, un «appello a tutti i media, in particolare a quelli cattolici, perché dedichino il loro tempo e le loro risorse a informazioni affidabili, a mostrare testimonianze dell'approccio evangelico agli stranieri nella nostra società che, grazie alla misericordia e al sostegno intelligente, diventano in modo speciale nostri sorelle e fratelli».