Chiesa

L'intervista. Don Gronchi: grato ai vulnerabili, volto di Gesù

Cristina Uguccioni giovedì 8 agosto 2024

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Intorno a Gesù crocifisso e risorto e allo spirito di ringraziamento riflette in questa conversazione don Maurizio Gronchi, teologo, docente di Cristologia alla Pontificia Università Urbaniana e consultore del Dicastero per la dottrina della fede.

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La gratitudine vissuta e mostrata da Gesù cosa ci rivela di Lui? E cosa dice di noi?

Per avere una chiara idea di cosa significhi per Gesù la gratitudine basta prendere ad esempio un episodio, narrato dai vangeli, che ha come protagonista una donna, dalla quale egli accoglie il gesto coraggioso del contatto fisico (Mc 14,3-9; Gv 12,1-8). Il puro nardo versato sul capo del Signore non è uno spreco, ma un’opera buona, per la quale ella sarà ricordata. Questo è il modo col quale Gesù si lascia toccare: così accoglie un dono, e libera dall’idea di essere venuto solo a donare e non a ricevere.

Forse molta predicazione ha ristretto la figura di Gesù a quella di uno che non ha bisogno di nulla, venuto solo per dare, e se qualcosa può ricevere non è certo ciò di cui ha bisogno. Invece i vangeli ci consegnano un’immagine diversa, persino sconvolgente: si vede chi è Dio proprio guardando Gesù, poiché chi vede Lui vede il Padre (Gv 14,9). È il Padre che assomiglia al Figlio, non viceversa. Questo vuol dire che, in Gesù, è il Padre stesso ad essere riconoscente per l’accoglienza che riceve da noi: chi accoglie Gesù accoglie il Padre che lo ha mandato (Mt 10,40).

Il modo col quale Gesù si lascia baciare i piedi da una peccatrice (Lc 7,38) evoca la tenerezza con cui Maria lo accudiva da piccolo, quando imparava ad essere Figlio pienamente umano, pur venendo dal Padre; quando apprendeva cosa vuol dire essere amati, per poi saper amare. Da questo noi impariamo a non crederci autosufficienti, ma bisognosi d’amore. La gratitudine comincia così, dall’essere amati.

Quale riflessione suscitano in lei queste parole di lode e di ringraziamento di Gesù: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25)? Ed esse come ci istruiscono?

Gesù si rivolge al Padre, che ha il duplice volto del trascendente (Signore del cielo) e del misericordioso (Signore della terra); che è Qadosh e rahamim, il Santo e colui che prova compassione. Questo è uno dei cinque brani che ci consegnano il testo dell’orazione di Gesù, sui quattordici che lo ricordano in preghiera. Lode e gratitudine, perché tutto è ricevuto, niente appartiene a coloro che sanno di venire dal cuore amoroso di Dio. Il primato della grazia consiste proprio in questa determinazione: sapersi generati dall’amore preveniente, sostenuti dall’amore concomitante, sospinti dall’amore conseguente. Gesù sta dalla parte dei piccoli: è il Figlio eterno generato dal Padre, nato nel tempo da Maria. Tale duplice nascita ne attende una terza: quella di essere accolto da noi, che diventiamo figli grazie al Figlio.

La cultura occidentale contemporanea pare molto concentrata sull’origine della vita e del mondo, molto poco sulla destinazione: così, la risurrezione di Gesù, il Suo essere andato a prepararci un posto, la nostra futura risurrezione rischiano di non essere più motivo di gratitudine. Come la si ridesta?

Magari la cultura odierna fosse concentrata sull’origine della vita e del mondo. Purtroppo, invece, sembra concentrata sull’oggi, sul qui ed ora, venendo così meno allo sguardo sul passato e, quindi, sul futuro. Dal punto di vista della fede cristiana, oggi si accentuano sempre più due tendenze opposte. Una visione catastrofica – che vede il male ovunque, e invoca la punizione divina sulla corruzione dell’umanità e della Chiesa – sostenuta da vari profeti di sventura, falsi veggenti e custodi di tradizioni pure, che promettono illusorie purificazioni. E, dall’altra parte, una visione di eccessivo ottimismo, buonista – ispirata ai valori che crede di difendere – che finisce per giustificare persino il legittimo ricorso alle armi, in nome di una difesa che poi pagano sempre i più deboli. La morte e risurrezione di Gesù, invece, annuncia il mondo nuovo attraverso il dono di sé, il perdono e la pace. C’è un solo Signore che, per difendere il proprio gregge, non uccide i nemici, ma sacrifica se stesso. Non troveremo la via della pace senza una vera conversione a questo Dio che ama, perdona ed è riconoscente a chi lo accoglie. Finché le religioni e le confessioni cristiane non impareranno il perdono, continueranno a credere a un Dio inutile, senza speranza per l’umanità. Lo sguardo sul futuro si accenderà di speranza solo quando sapremo tutti dire grazie della vita, da custodire e amare, ad ogni costo e senza condizioni, a partire da quella dei più deboli e vulnerabili. Questo ci insegna, e ci offre, Gesù crocifisso e risorto.

Di quali doni portati dall’esperienza sinodale - e dal modo in cui si è evoluta negli ultimi sessant’anni - oggi si dovrebbe essere grati?

L’esperienza sinodale, iniziata da san Paolo VI, dopo il Concilio Vaticano II, ha portato frutti significativi. Abbiamo imparato a guardare alla Chiesa in modo meno verticistico: è il popolo santo di Dio, nel quale pastori e fedeli vivono in relazione di reciprocità e di servizio. Primato, collegialità e sinodalità sono le tre dimensioni in cui si articola la Chiesa missionaria, non rivolta a se stessa, ma al mondo, che Dio ha tanto amato da donargli il Figlio (Gv 3,16). Il Padre ha donato il Figlio al mondo, e la Chiesa è quella parte di mondo che lo ha accolto. Perciò, Dio è in grado di mettere in contatto ogni uomo, mediante il suo Spirito, nel modo che Lui solo conosce, col mistero pasquale di Gesù (Gaudium et spes 22). La Chiesa impara così a seguire le vie dello Spirito incontro a ogni persona. Grazie a papa Francesco, con i quattro Sinodi precedenti (due sulla famiglia, uno sui giovani, e uno sull’Amazzonia), l’intero popolo di Dio è stato coinvolto, insieme ai pastori, nell’esercizio del discernimento, e i documenti che ne sono derivati conservano le tracce di tutto questo lavoro collegiale e sinodale. Speriamo che la conclusione del Sinodo sulla sinodalità porti altrettanti frutti di comunione e missione ecclesiale.

A chi desidera rivolgere il suo grazie?

Lo rivolgo a tutte le persone più vulnerabili che ho incontrato nella vita e si sono rivelate forti grazie alla fede e all’amore: a cominciare da mia madre, dai piccoli, i giovani, le donne, i poveri e le persone con disabilità. A loro sono grato perché mi hanno mostrato il volto del Signore Gesù, crocifisso e risorto.