Crotone. Messa celebrata in mare, la diocesi: decoro e rispetto per i sacramenti
«Riscoprire la bellezza dei simboli liturgici»: è l’invito col quale il portale della Chiesa di Milano propone la lettura della nota pubblicata dalla diocesi di Crotone-Santa Severina sul proprio sito prendendo posizione sulla Messa celebrata in mare da don Mattia Bernasconi, un sacerdote milanese in Calabria con i suoi ragazzi della parrocchia di San Luigi Gonzaga per un campo sulla legalità. A far discutere era stata la scelta di ovviare a problemi logistici per la celebrazione della Messa domenicale improvvisando la scelta di un materassino come altare e con i partecipanti in costume da bagno, celebrante incluso.
Nel resoconto dei fatti – premette la nota della Chiesa calabrese – «si coglie tutta la bellezza e la serietà dell’esperienza vissuta da questi giovani, che hanno scelto il nostro territorio per impegnarsi in un campo di volontariato e interrogarsi sul tema della legalità. Una scelta da apprezzare e per cui essere grati. Questi giovani hanno arricchito con la loro presenza la nostra terra e hanno vissuto un momento di crescita che inciderà anche nei luoghi della loro vita quotidiana». Tuttavia le immagini della liturgia circolate sui social rendono «necessario ricordare che la celebrazione eucaristica e, in generale, la celebrazione dei sacramenti possiede un suo linguaggio particolare, fatto di gesti e simboli che, da parte dei cristiani e particolarmente dei ministri ordinati, è giusto rispettare e valorizzare, senza rinunciarvi con troppa superficialità». È noto che «in alcuni casi particolari, in occasione di ritiri, campi scuola, nei luoghi di vacanza, è anche possibile celebrare la Messa fuori dalla chiesa», ma oltre a «prendere contatti con i responsabili ecclesiali del luogo dove ci si trova, per consigliarsi sul modo più opportuno di realizzare una celebrazione eucaristica di questo genere» la diocesi di Crotone – rilanciata da quella di Milano – ricorda che «è necessario mantenere quel minimo di decoro e di attenzione ai simboli richiesti dalla natura stesse delle celebrazioni liturgiche». Perché è vero che «ogni luogo e ogni circostanza sono adatti per parlare di Lui, per testimoniare la gioia di essere suoi discepoli e condividerla con chi incontriamo. Noi umani, però, siamo “esseri simbolici”: il corpo, l’abito, gli oggetti che usiamo sono veicoli di comunicazione. La liturgia è il momento in cui s’impiegano i simboli semplici ma eloquenti elaborati in tanti secoli di vita delle comunità cristiane per rendere accessibile un’esperienza: l’incontro con Gesù Risorto e il “noi” ecclesiale. Ecco perché è richiesta per la celebrazione anche una certa forma».
Basta l’osservanza delle regole esteriori? No di certo: «È evidente che curare soltanto la forma non assicura l’autenticità di un gesto liturgico. Tuttavia, non si tratta di una dimensione da trascurare». A ricordarlo è anzitutto il Papa, dal magistero del quale la diocesi di Crotone estrae un passaggio tratta dalla recentissima lettera apostolica «Desiderio desideravi» sulla «formazione liturgica del popolo di Dio», dove si legge che «la continua riscoperta della bellezza della Liturgia non è la ricerca di un estetismo rituale che si compiace solo nella cura della formalità esteriore di un rito o si appaga di una scrupolosa osservanza rubricale. Ovviamente questa affermazione non vuole in nessun modo approvare l’atteggiamento opposto che confonde la semplicità con una sciatta banalità, l’essenzialità con una ignorante superficialità, la concretezza dell’agire rituale con un esasperato funzionalismo pratico. Intendiamoci: ogni aspetto del celebrare va curato (spazio, tempo, gesti, parole, oggetti, vesti, canto, musica...) e ogni rubrica deve essere osservata: basterebbe questa attenzione per evitare di derubare l’assemblea di ciò che le è dovuto, vale a dire il mistero pasquale celebrato nella modalità rituale che la Chiesa stabilisce. Ma anche se la qualità e la norma dell’azione celebrativa fossero garantite, ciò non sarebbe sufficiente per rendere piena la nostra partecipazione. Se venisse a mancare lo stupore per il mistero pasquale che si rende presente nella concretezza dei segni sacramentali, potremmo davvero rischiare di essere impermeabili all’oceano di grazia che inonda ogni celebrazione. [...] Lo stupore è parte essenziale dell’atto liturgico perché è l’atteggiamento di chi sa di trovarsi di fronte alla peculiarità dei gesti simbolici; è la meraviglia di chi sperimenta la forza del simbolo, che non consiste nel rimandare ad un concetto astratto ma nel contenere ed esprimere nella sua concretezza ciò che significa».