Chiesa

Musica sul Po. In battello da Cremona a Venezia inseguendo Monteverdi

Marcello Palmieri (testo), Daniele Segata (Video e foto) mercoledì 3 giugno 2015
"Onde sussurranti” come sottotitolo, e una crociera musicale quale suo epilogo. Quest’anno, il festival “Claudio Monteverdi” non si è fermato a Cremona. Ma ha mollato gli ormeggi, solcato le "desiate acque" del compositore, e condotto per mano 150 persone alla scoperta di Mantova e Venezia. Già, perchè il "divin Claudio" fu musicista di corte nei fasti gonzagheschi, e maestro di cappella nella patriarcale basilica di San Marco. Ma tutto comincia all'ombra del Torrazzo, quando il bimbo prodigio è puer cantor nel coro della cattedrale. “Proprio qui fu allievo di Marc’Antonio Ingegneri”, ricorda in questo video don Graziano Ghisolfi, attuale maestro di cappella nel duomo di Cremona.
Tra il duomo e l'imbarcadero corre circa un chilometro, e parallelo al grande fiume scorre il viale che ne porta il nome. Domenica 31 maggio salpa la motonave, il Torrazzo fa capolino a poppa, si abbassa come candela sempre più esausta. “Qui, un tempo, l’alveo era largo quasi 2 chilometri - spiega Fulvio Regis di Aipo, l'agenzia interregionale per il Po - e ci troviamo a 28 metri sul livello del mare“. “Siamo sulla più grande barca per la navigazione del maggior fiume italiano - scandisce il capitano, Giuliano Landini -: si chiama Antonio Stradivari, vuole omaggiare la tradizione liutaia di questa città”. Interviene il sindaco di Cremona, Gianluca Galimberti: “Il Po è attraversato dalla cultura, è la cultura che unisce paesi e territori diversi. E la cultura è volano per le nostre realtà”. Lo ascolta anche una rappresentanza tedesca, viene da Monaco di Baviera, spiega il perché di tanti chilometri: “Il nostro fiume, l'Isar, non è navigabile”. Ma ci sono anche una coppia americana e il presidente della Lombardia, Roberto Maroni (in veste privatissima). La soprintendente del teatro Ponchielli, Angela Cauzzi, con lo stato maggiore dell'istituzione cremonese che anima il Festival. E musicofili da mezzo nord Italia: Milano e Parma, Reggio Emilia e Piacenza, Modena e Verona. Ecco un’ansa, e un ponte. Sulla sinistra del grande manufatto, in alto, sotto la sponda, un faro acceso. In pieno giorno. “Sulla sinistra – prende di nuovo la parola Regis - l'acqua scorre più velocemente. E scava. Sulla destra, invece, è più lenta. E deposita”. Morale: sentinella contro le secche è quella luce, sicura indicazione tra le nebbie che sfumano e confondono i contorni dell’autunno padano. Ma è tutta un’altra storia, ora che sole e vento ti accarezzano lo sguardo. Si tramuta in musica lo sciabordio delle acque: l“Acrobazia mediterranea” e la “Serenissima armonia” del "Ghislieri consort" danno vita a musiche di Durante e Dall’Abaco, di Galuppi e Vivaldi. Quasi timidi passi di danza diventano rollio e beccheggio della nave. Fluiscono le note, scorre la barca.
L’armonia nutre l'anima, ma il corpo reclama il pane quotidiano. Il pranzo è servito in coperta, mentre la "Stradivari" attracca a Casalmaggiore. Tutti sull’alzaia del Grande fiume. Con armi e bagagli da caricare su un furgoncino, inconsapevoli soggetti di un’istantanea riguardo cui Guareschi – cantore del Grande fiume - non avrebbe lesinato ironia. Passo dopo passo l'erba diventa terriccio, e il terriccio asfalto. Fino al teatro comunale, dove al gruppo s’aggiunge Cristina Cappellini, assessore regionale alla cultura. “È il più antico della provincia - scandisce il direttore, Giuseppe Romanetti - inaugurato nel 1783 dopo che 30 anni prima Maria Teresa d'Austria aveva elevato a città il centro rivierasco. I soffitti sembrano affreschi, ma in verità son ricoperti da tele dipinte”. Strano? “Assolutamente: ragioni di acustica”. Il confine con Mantova è lì a pochi chilometri. Sono 2 pullman a caricare il gruppo, a condurlo da un capo all'altro della provincia virgiliana: direzione Sacchetta di Sustinente, per l'esattezza, dove il Mincio si è da poco affidato al sicuro corso del Po. Ma attenzione: “Non è sempre stato così – avverte Giuliano Negrini, il capitano della "Andes 2000" che da quel momento solcherà placida le acque fino alla città ducale -: a unire i 2 fiumi fu Alberto Pitentino, nel 1190 mente di imponenti opere idrauliche”. Lavorò poco distante da lì, in quel borgo di Governolo che allora aveva un altro nome. Congiunse i 2 alvei, bacinizzò il Mincio, studió un sistema per proteggere Mantova. Azzarda il capitano: “Da qui il nome di "Governolo", governo delle acque, citato pure nel Trecento da Dante”. Sfila la piccola frazione (il comune è Roncoferraro), fa capolino tra i pioppi la chiesa puntellata dal sisma 2012: l'Emilia è lì a pochi chilometri, e il confine amministrativo non è stato certo in grado di fermare il terremoto. La nave piega a destra, punta una diga possente. Anzi, 2. Giusto il tempo di varcare la prima, e la sua serranda scende inesorabile. Pure quella davanti è chiusa, l'acqua gradatamente sale, l'impressione è di trovarsi in una trappola. Ma provvidenziale meccanismo si rivela quel sistema vinciano: Leonardo lo disegnò per ovviare al dislivello dei 2 corsi, regalando a Mantova la navigabilità – via Po prima, via laguna poi - fino all'Adriatico. Bucolica l’attesa tecnica: 15 minuti a contemplare un branco di caprette, placidamente brucanti l'erba dell’argine sinistro. E la diga a monte spalanca le sue metalliche tonnellate. Sulla "Andes 2000", la musica è quella della natura: il vento fa da continuo al contrappunto degli uccellini, mentre un airone cinerino plana feroce sulle acque e guadagna al proprio ventre un pesciolino. Ma il fiume è vita anche per gli uomini. Sulle sponde c'è chi pesca, o più semplicemente chi si lascia abbracciare da un sole di tarda primavera. La fornace Morselli appare nell'abitato di Formigosa: 3 secoli di mattoni per chiese e palazzi. Già è comune di Mantova, e poco distante 32 idrovore e un altro sistema di chiuse vegliano sulla salvezza della città ducale. “Quando il Po si gonfia e il Mincio non riesce più a defluire - spiega Negrini - questo monumento all'ingegno dell'uomo pompa l'acqua da una parte all’altra della diga”. Risultato: “I laghi di Mantova rimangono a livello costante, la città non viene sommersa”. Ed eccoli, i fluidi specchi cantati da Virgilio. Dietro di loro, la cupola della basilica concattedrale di Sant'Andrea, il castello di San Giorgio, la torre del Palazzo del podestà, la ghirlanda che sormonta il campanile della basilica palatina di Santa Barbara, mozzata dal sisma. L’apparire della città ducale è scandito dalle parole solenni del capitano: “Entrare nella patria dei Gonzaga dall'acqua significa accedervi dalla porta principale”. Varcato il portone della basilica di Palazzo ducale, ad aspettare Avvenire c'è la musicologa Licia Mari. Per lei, parlare di Monteverdi a Mantova è come raccontare la storia di famiglia.
Intanto, i crocieristi monteverdiani scoprono in libero mordi e fuggi la città della Camera picta, degli altri fasti gonzaghesci, di piazza Sordello, del Palazzo della Ragione. E del teatro "Bibiena": antica sede dell'"Accademia degli invaghiti" per cui il "divin Claudio" compose l'"Orfeo", luogo simbolico e ideale per concludere la prima giornata monteverdiana. Sono passate le 21 da pochi minuti: Nicola Sodano pronuncia il benvenuto da sindaco, accanto a lui il collega Galimberti. Arriva il "Collegium pro musica", calca la scena in abiti barocchi. Il tempo si riavvolge. Torna "Monteverdi alla corte dei Gonzaga": lì l'ex bimbo prodigio cremonese rivive nei suoi madrigali, inanellati a toccate e danze strumentali di musicisti del tempo. Ed è un’ora abbondante di profonda suggestione.
Il trasferimento in albergo segna la conclusione del primo giorno, mentre la mente sazia e assonnata ricompone e distilla le immagini vissute.
Lunedì mattina: alle 8.30 i 2 pullman già son proiettati verso Taglio di Po (Rovigo). Ma l'uomo propone, e i mezzi meccanici dispongono. Una manciata di chilometri: ancora non si è salutato il Mantovano, e a Castel d'Ario un pullman accosta. Scende l’autista, vociferano i passeggeri. Si distende sull’asfalto il primo, armeggia dietro la ruota posteriore. Azzardano più o meno fantasiose (e tragiche) ipotesi i secondi, rendono omaggio alla miglior tradizione italica di settore. C’è chi semina il panico, e chi tenta di calmare gli animi. Chi propone, chi esige, chi recrimina. Il sole è rovente, per dirla ancora una volta con Guareschi “picchia martellate sulla testa della gente”. In definitiva: il primo bus arriva a destinazione come da programma, e il fortunato equipaggio guadagna la "Delta patavinum". Che salpa per mano di Rudy Toninato. Quello in avaria, invece, dopo uno scalo tecnico di 40 minuti regala un imprevisto tour nella campagna veneta. Morale: testimone del "ricongiungimento" è il borgo di Cavanella d'Adige (frazione di Chioggia), mediatore tra la contingenza e l'umore dei "dispersi" un aperitivo a bordo più ricco del previsto. Ed è di nuovo navigazione. Dall'Adige al Brenta, dalla conca di Brondolo al canal Lombardo della Laguna. Tony Corradini dirige i suoi "Arsi e tesi" ne "La barca di Venezia per Padova", facendo rivivere il viaggio di un’allegra e varia combriccola tra schiamazzi dei pescatori, schermaglie amorose, parodie degli stranieri. Così, a duellare contro soffio del vento e rombo del motore son madrigali, cacce, villanelle e canzoni (anche) di Adriano Banchieri. Ma ecco che la "varia combriccola" monteverdiana - quella vera, radunata in crociera dal Ponchielli - sbarca a Chioggia. “Si chiama così da "Clodio" - racconta Irene Marin, guida turistisca e nuovo acquisto del gruppo - che la fondò dopo aver lasciato Troia in fiamme”. Il mitologico fuggitivo mise la prima pietra di Clodia. Che millenni di generazioni ci han poi consegnato come Chioggia. Ed ecco di nuovo rollii e beccheggi: la "Delta patavinum" pattina sulle acque, marcia in direzione Venezia. Campane e carrucole, esili campanili e panni stesi in facciata. Marin, ovviamente, chiede attenzione sulle torri lagunari. Glissa sull’ostentazione del rigovernamento domestico. Piuttosto, indica i cantieri del Mose: una volta concluso nelle sue complesse paratie, salverà la patria (e la basilica) di San Marco dai ciclici allagamenti. Da est a ovest qualcuno dischiude una tenda invisibile, l'attimo è quello delle grandi occasioni, i passeggeri si accalcano a prua: Venezia brilla nell'oro di metà pomeriggio, il suo profilo canta la maturità di Monteverdi. Ad Avvenire lo ricorda monsignor Antonio Meneguolo, arcidiacono della basilica di San Marco.
Calli e ponticelli, chiese e palazzi, negozi e ambulanti: alla Fenice si arriva attraverso un bagno di folla. E di sudore. Il concerto conclusivo è appannaggio dei soli crocieristi, gli ottoni del teatro suonano tutti per loro. Rivive l'estro dei Gabrieli (padre e figlio), al “divin Claudio” tocca l'onore di aprire e chiudere il concerto. È la sua trionfale "Toccata" dall'Orfeo a far vibrare le sale apollinee.
Le ombre spengono la città lagunare, la luna s'impone a oriente su un cielo ancora celeste. E’ ora di raggiungere la "Delta patavinum", di reimbarcarsi, di guadagnare la terraferma per ripartire in pullman alla volta di Cremona. Le cartine geografiche indicano 220 chilometri, e la storia ci racconta che a Monteverdi - più volte in viaggio tra le sue 3 amate città - causarono non pochi problemi. Ci pensi, e accetti l’attesa del bus. In piedi. Mentre un esercito di zanzare ti invita a rievocare lo spettro di antichi ancestrali combattimenti. Alcune non vogliono abbandonare il campo, e salgono sul pullman con te che tenti la ritirata. La battaglia continua. Provocanti ronzii e mortiferi colpi. Ma la crociera ormai l’ha insegnato: anche questa è musica. Particolarissima. E’ la musica della natura che soffre e sorride, e sempre si perpetua. Eterna come quella che l'Eterno suscitó al "divin Claudio".