Progetti. «Costruire futuro per gli ultimi. Si può fare così»
Una delle periferie urbane ed esistenziali più difficili d’Italia è Librino, a Catania. Sarebbe parte della città etnea, ma gli 80 mila che ci vivono quando si spostano dicono che «vanno a Catania». Rione popolare segnato dalla povertà e dalla mafia. Il nuovo direttore della Caritas diocesana è parroco nella chiesa dedicata a Padre Pio. «Il quartiere è povero – spiega don Piero Galvano – ma quando ho chiesto aiuto per aprire un locale per gli scout o per costruire un campo di calcio, la gente mi ha sempre ascoltato». Si può partire da qui per dare un volto all’ultimo rapporto della Caritas sulla povertà e le risposte messe in campo dalla Chiesa.«La situazione è peggiorata – conferma don Piero – ci sono diversi nuclei familiari in miseria, tutti italiani. Ci si indebita per un telefonino o per sposarsi. Per contro, la richiesta di pacchi alimentari è aumentata e la mancanza di una scuola superiore scoraggia i giovani». Da anni la Caritas ha puntato sull’educazione dei bambini per arrivare ai genitori e parlare di legalità. Progetti di successo che restano oasi nel degrado. Ora la povertà ha spinto don Galvano, prete che gira nelle case per dialogare e a organizzare nei casermoni popolari centri preghiera, a mettere in pista una nuova risposta: «Dopo essermi consultato con i parroci, ho proposto al vescovo di creare una nuova mensa Caritas nel quartiere. Sarà dedicato al beato Dusmet, vescovo morto in miseria perché dava tutto ai poveri. La mensa in stazione è arrivata a 250 utenti. Raddoppiando il servizio ne verranno altri 300, soprattutto famiglie con bambini». Don Piero ha chiesto al vescovo, ottenendone l’impegno in prima persona, che la struttura sia finanziata dal clero diocesano. «Per chiedere agli altri dobbiamo prima dare noi».Più a Nord, sulla dorsale adriatica, Pescara conferma che il numero di utenti Caritas è quasi raddoppiato negli ultimi tre anni. «Aumentano i disoccupati – spiega Monica D’Allevo, responsabile dei progetti di solidarietà – soprattutto i capifamiglia e gli immigrati che ormai sono radicati qui e hanno il dubbio se restare o partire. Hanno perso il lavoro, ma i loro figli sono nati qui. Molto forte il problema debitorio, generato dal boom delle carte di debito e dalla facilità d’accesso alle finanziarie». Le risposte sono state di due tipi: prestiti della speranza e microcredito sociale per chi doveva far fronte a alle bollette. E un emporio solidale, dove si accede per fare la spesa gratuitamente con un tessera a punti.«Così – commenta Monica – oltre all’aiuto materiale si tenta di fare educazione al consumo».Più su, sulla dorsale adriatica, a Cesena, la Caritas ha affrontato soprattutto il problema della casa nella riviera dove agricoltura e stagione balneare non bastano più a tamponare la disoccupazione. «Abbiamo molti nuclei sfrattati – spiega il direttore Sauro Bandi – e abbiamo chiesto ai parroci di ristrutturare alcune canoniche vuote e case sfitte. Ospitiamo pochi nuclei, ma stiamo conquistando la fiducia dei proprietari cui garantiamo l’affitto». E in Toscana, in quella che una volta era la ricca Lucca, la direttrice della Caritas diocesana Donatella Turri conferma il raddoppio delle domande di aiuto e la scelta di ripartire con la reciprocità. «Chi riceve, lo restituisce con ore di volontariato e corsi di formazione».E poi hanno aperto fuori città tre orti per coltivare prodotti di prima necessità e rivenderli a prezzo calmierato ai negozi. Il sogno è dimostrare che la solidarietà può far ripartire anche l’economia.