L'incontro con il Papa. Cosa chiedono i piccoli per poter costruire un mondo diverso
Il dialogo tra il Papa e i bambini è fatto di colori e di domande. Quelle, impertinenti, che i piccoli fanno agli uomini importanti. «Tu cosa fai quando ti arrabbi? Ti diverti a fare il Papa? Come si possono fermare le guerre?». E poi ci sono le matite e i pennarelli, per colorare i disegni. Francesco ne riceve a pacchi. Molte direttamente dalle mani degli “autori”. Come a Lesbo, come la barca che raccontava il viaggio disperato dei migranti e la morte di un piccolo naufrago. O come durante i ricoveri al Gemelli, con la scritta “guarisci presto” sotto il faccione rosa quasi rosso di un Pontefice comunque sereno.
Perché i bambini hanno il dono della sintesi, arrivano subito al punto, se sono tristi piangono, se stanno giocando urlano e ridono, se qualcuno sta male lo avvicinano con dolcezza e magari appoggiano la testa sul suo petto. Hanno pochi filtri e così il cuore trova autostrade per correre e raccontarsi, anche a costo di risultare grossolano e irrispettoso.
Francesco lo dice spesso: i bambini chiedono cose più complicate degli adulti, o meglio, dicono ciò che i grandi non osano domandare. E forse perché sono loro stessi futuro, fanno discorsi sempre al presente o al passato più vicino. La loro memoria è un palazzo tutto da costruire, un collage di frasi sempre nuove, di vicende vecchie che paiono mai sentite, di storielle capaci di strappare ancora una risata.
Ma dietro ai sorrisi c’è tanta voglia di scoprire e un pizzico di paura, c’è il timore di essere lasciati e sentirsi soli. Succede anche ai grandi, con la differenza che da adulti è molto difficile ammettere di sentirsi fragili e di aver bisogno degli altri.
Forse, allora, dietro la Giornata mondiale dei bambini c’è anche il desiderio, finanche il bisogno del Papa di andare alla radice dell’essere uomini e donne oggi. Per riuscirci bisogna togliere erbacce e foglie secche e poi scavare con delicatezza nella terra ancora umida, fino al punto che dà nutrimento alla pianta. Nel caso dei bambini lo trovi subito, non ci sono ancora ipocrisie, rivendicazioni, mugugni, invidie a soffocarlo. Si trova lì, al centro del petto e senza aver bisogno di grandi parole per reclamarle, chiede pace, chiede armonia, chiede gioia semplice.
Non a caso il tema della Giornata mondiale dei bambini riprende le parole di Gesù tratte dall’Apocalisse l’ultimo libro della Bibbia: “Ecco io faccio nuove tutte le cose”. Un invito a non farsi ricattare dal passato, a non cedere alla logica del “non cambierà niente” o, se si preferisce, del “si è fatto sempre così”.
I bambini ci stanno davanti con il loro viso pulito, senza segni, per dirci che tutto si può ancora fare, che hanno fogli e colori per disegnare un futuro diverso. Che sognare non è fuggire dalla realtà ma è un modo per avvicinare il mondo che viene. Perché se non lo immagini, se non lo vedi con gli occhi del cuore, non puoi cominciare a costruirlo. Si tratta allora di rovesciare le regole della comunicazione, di metterci noi adulti in ascolto delle loro domande.
A parole lo facciamo sempre, nei fatti quasi mai. Anche senza accorgercene finiamo per ritmare il cammino, per decidere cosa si può dire e cosa no, per stabilire vincitori e vinti. La Giornata in programma il 25 e il 26 maggio promette di andare in direzione opposta, di aprire le finestre all’aria fresca, di concentrarsi più ancora che sulla pianta matura, sul seme che l’ha fatta crescere. Il logo dell’evento è fatto di mani piccole di bimbi. Se le metti insieme diventano un arcobaleno, una preghiera, un abbraccio che unisce tutti i popoli. Per costruire un mondo nuovo non serve altro.