Intervista. Così il Codice di Diritto canonico è «figlio» del Concilio Vaticano II
Nel 2023 il Codice di Diritto canonico compie 40 anni. É stato presentato, infatti, il 3 febbraio 1983. Qui a fianco un’edizione con commento
Roma Il 3 febbraio 1983 san Giovanni Paolo II presentava ufficialmente il Codice di Diritto canonico che sostituiva quello del 1917. Per i quarant’anni di un evento particolarmente significativo per la Chiesa del post-Concilio, Avvenire ha intervistato la professoressa Geraldina Boni, ordinario di diritto canonico ed ecclesiastico all’Università di Bologna e consultore del Dicastero vaticano per i testi legislativi.
Professoressa Boni, sono passati quarant’anni dalla promulgazione del Codice. Che cosa ha significato la sua pubblicazione?
Il Codex Iuris Canonici del 1983, pur confermando la scelta della Chiesa per la codificazione maturata agli inizi del Novecento, ha introdotto contenutistica-mente incisivi cambiamenti giuridici. Esso, i cui lavori preparatori si sono svolti per diciotto anni attraverso un’ampia consultazione e collaborazione, ha mirato a tradurre in linguaggio canonistico le importanti acquisizioni teologiche ed ecclesiologiche del Concilio Vaticano II: è “figlio” dell’epocale assise convocata da Giovanni XXIII e conclusa da Paolo VI.
Quali sono state, in estrema sintesi le novità apportate dal Codice del 1983?
Molteplici e pregnanti, a partire dalla stessa sistematica, profondamente conciliare e ispirata alla Chiesa come mistero di comunione. Per segnalare le più rilevanti si può menzionare che esso, seguendo fedelmente i principi direttivi votati dal primo Sinodo dei vescovi del 1967 - una sorta di “decalogo” per guidare l’opera codificatoria - e aspirando a coniugare il rigore giuridico con lo spirito pastorale di carità e moderazione, ha anzitutto elevato a protagonista il christifidelis, il semplice battezzato, archiviando la superata impostazione di un diritto canonico clericale. L’uguaglianza nella dignità e nell’azione ora contrassegna, nel dinamismo missionario, tutti i membri del biblico popolo di Dio, ai quali sono stati riconosciuti doveri e diritti «fondamentali», radicati nel diritto divino naturale e rivelato; si è espressa inoltre in molte norme la preoccupazione per la tutela di tali diritti, anche attraverso idonee procedure giudiziali. Ha poi valorizzato le Chiese particolari « nelle quali e dalle quali sussiste la sola e unica Chiesa cattolica », esaltando la figura del vescovo e accentuando la responsabilità dei legislatori particolari: e mitigando, così, quella rigida verticalizzazione ed esclusivo accentramento sul Romano Pontefice che ha caratterizzato certe epoche della Chiesa, riequilibrando il rapporto tra collegialità e primato.
Specialmente in questi ultimi ci sono stati più interventi che hanno modificato alcune parti del Codice. In particolare, è stato totalmente riformulato il libro VI. È stata una normale evoluzione o c’era qualcosa che non funzionava fin dall’inizio?
Oramai sono numerose le modifiche apportate al dettato codiciale. Le più consistenti hanno riguardato il processo di nullità matrimoniale (con il motu proprio Mitis iudex Dominus Iesus del 2015) e, appunto, il Libro VI, De sanctionibus poenalibus in Ecclesia, che è stato interamente sostituito nel 2021 con la Costituzione apostolica Pascite gregem Dei. Il diritto non è immutabile, evolve e deve evolvere per plasmarsi e adeguarsi ai cambiamenti della realtà regolata, dettando soluzioni che siano corrispondenti al bene comune e strumentali al perseguimento della giustizia hic et nunc. Per quanto concerne il diritto penale codiciale, esso per vari motivi era in crisi: specialmente a causa di una diffidenza se non ostilità per il rigor iuris diffuse in certi ambienti ecclesiali e dell’emersione di varie difficoltà applicative a livello locale. Soprattutto per arginare la nota « piaga» degli abusi sessuali si era poi stratificata una normativa extracodiciale che rischiava di marginalizzare il Libro VI: esso dunque meritava di essere revisionato in modo che vescovi e superiori potessero adempiere il loro munus pastorale di comminare le pene «come concreta ed irrinunciabile esigenza di carità non solo nei confronti della Chiesa, della comunità cristiana e delle eventuali vittime, ma anche nei confronti di chi ha commesso un de-litto, che ha bisogno all’un tempo della misericordia che della correzione da parte della Chiesa».
Ritiene, come ha detto il cardinale Oscar Andres Rodriguez Maradiaga, che sia necessario un nuovo Codice?
Personalmente sono convinta che il Codice sia ancora uno «strumento necessario», come affermava san Giovanni Paolo II nella Costituzione apostolica di promulgazione, in quanto garantisce una certezza del diritto conformata e coerente all’irriducibile specificità dell’universo giuridico ecclesiale. Non so se il Legislatore Supremo mediti un proposito così radicalmente innovatore della codificazione vigente per la Chiesa latina (ma ricordo che c’è anche un Codice per le Chiese orientali del 1990). Certo si tratterebbe di un’impresa assai impegnativa e delicata che dovrebbe indubbiamente avvalersi della cooperazione della scienza canonistica mondiale.
Quali sarebbero comunque i punti che andrebbero aggiornati o le lacune che andrebbero eventualmente colmate?
Credo che siano necessarie riforme del diritto processuale (il Libro VII) per far sì che la protezione dei diritti dei fedeli sia effettiva: le procedure penali andrebbero revisionate, rafforzata la giustizia amministrativa, ed anche i processi di nullità matrimoniale, a mio avviso, potrebbero essere migliorati. Poi, come forse noto, ho, insieme ad alcuni colleghi, avviato un dibattito nella canonistica per la formulazione di leggi sullo status del Papa che ha rinunciato e sulla Sede Romana totalmente impedita (www.progettocanonicosederomana. com). Certo le leggi non si devono moltiplicare esageratamente e devono essere sempre animate dalla prudentia iuris. L’importante è che le norme siano esito di un lavoro ben ponderato, condiviso e compartecipato, che cioè il Legislatore Supremo, nell’ottica di quella sinodalità oggi così valorizzata, si avvalga di una vasta consultazione di esperti: in modo che esse possano essere aderenti alla realtà disciplinata con verità e la Chiesa sia speculum iustitiae.
Non ci sono stati festeggiamenti particolari per questo anniversario…
In passato sovente le iniziative erano assunte a livello centrale: forse attualmente incombono problemi urgenti da risolvere che sottraggono tempo ed energie alle celebrazioni. Quanto alla dottrina, auspico che siano almeno in preparazione convegni per commemorare tale anniversario. Se nulla sarà organizzato, l’Università di Bologna si attiverà tempestivamente.
Ma il Diritto canonico è davvero necessario alla vita della Chiesa? Non basta il Vangelo?
Ogni contrapposizione tra Legge e Vangelo va rigettata nella Chiesa, come il Concilio Vaticano II ha chiaramente insegnato. Mi permetta di riportare una frase illuminante del mio maestro, il professor Giuseppe Dalla Torre, improvvisamente scomparso nel 2020: « Non c’è dubbio che la Chiesa come comunità di puri spiriti, fuori del tempo e della storia, non ha bisogno del diritto. La Ecclesia triumphans, la Chiesa trionfante, come dicevano i vecchi manuali di ecclesiologia, cioè la Chiesa dei martiri, dei santi, di tutti coloro che sono morti in grazia di Dio e si sono salvati, non ha bisogno del diritto. Ma la Chiesa militante ( Ecclesia militans) - sempre come si diceva un tempo -, cioè la Chiesa intesa quale comunità di persone in carne ed ossa che vive nella storia, come insieme di individui che hanno accolto la Buona Novella del Vangelo e che nella storia cercano il proprio perfezionamento spirituale per raggiungere la salvezza, vive giuridicamente e del diritto ha bisogno ». Occorre infatti affrontare e farsi responsabilmente carico della fragilità umana.raio 1983. Qui a fianco un’edizione con commento. Sopra: la professoressa Geraldina Boni