Covid. Le Messe restano «aperte». Ma si possono fermare catechismo e incontri
Una Messa al tempo del Covid seguendo le misure anti-contagio
Nelle parrocchie italiane la parola d’ordine è prudenza. La seconda ondata del Covid insieme con la divisione del Paese in aree con differenti livelli di rischio entra nell’agenda delle comunità. E in alcuni tratti la modifica: non per effetto dell’ultimo decreto del governo che – giustamente – non intende toccare la vita ecclesiale, ma per volontà dei vescovi o dei sacerdoti che hanno scelto di rimettere mano a quanto può essere fatto all’ombra del campanile. Perché la tutela della salute è una priorità per la Chiesa italiana. Nessuno stop alle Messe comunitarie, neppure nelle zone rosse della Penisola: lo ha chiarito il direttore dell’Ufficio nazionale comunicazioni sociali della Cei, Vincenzo Corrado. «Le celebrazioni con la partecipazione del popolo – ha spiegato – si svolgono nel rispetto del protocollo sottoscritto dall’esecutivo e dalla Cei» seguendo le indicazioni anti-Covid previste dallo scorso maggio.
Ma la cautela fa sì che si vedano ridurre le attività pastorali “dal vivo” nelle parrocchie e nelle diocesi del Paese: non in tutte le realtà, comunque. Eppure non sono pochi i vescovi che hanno già invitato a sospendere il catechismo in presenza trasferendolo sulle piattaforme web oppure stabilito di fermare gli incontri diocesani e parrocchiali. Ancora: c’è chi ha sollecitato a rinviare le Prime Comunioni e le Cresime fissate nelle prossime settimane oppure a evitare che siano inviati i ministri straordinari dell’Eucaristia nelle case dei malati per portare il Santissimo Sacramento privilegiando la Comunione spirituale legata al periodo d’emergenza. «Siamo in una fase straordinaria. Anche la Chiesa è messa alla prova dal coronavirus ed è chiamata a trovare modalità fuori dell’ordinario che le consentano di essere sempre e comunque accanto alla gente», spiega don Gianni Cavagnoli. Direttore della Rivista liturgica, docente di sacramentaria all’Istituto di liturgia pastorale “Santa Giustina” di Padova, membro della Consulta nazionale Cei per la pastorale liturgica, don Cavagnoli è anche, e soprattutto, un parroco della diocesi di Cremona. E sa bene che le prossime settimane (ma forse anche mesi) chiederanno alle parrocchie un nuovo sforzo creativo e missionario. «Perché le comunità non chiudono e non si limitano alle Messe – assicura –. Lo hanno già dimostrato durante il primo lockdown fra marzo e aprile».
Le Messe continuano. Le celebrazioni “a porte aperte” rimangono: in tutta Italia, indipendentemente dal colore sanitario delle diverse regioni. «Nessun cambiamento – ha ribadito Vincenzo Corrado –. Ma nelle zone rosse, per partecipare a una celebrazione o recarsi in un luogo di culto, deve essere compilata l’autocertificazione». Un modulo è già stato predisposto da alcune diocesi, come quella di Milano: si specifica che si sta andando a Messa e si chiede di indicare in quale chiesa e a quale orario. «Di fronte a un Paese frazionato anche dall’ultimo Dpcm e a un quadro socio-politico segnato dai contrasti fra governo centrale e regioni – afferma don Cavagnoli – la Chiesa italiana diventa testimone di unità perché dalle Alpi alla Sicilia continua a ritrovarsi intorno alla mensa del Signore che è la sola certezza nelle difficoltà». A garantire le liturgie “sicure” ci sono le misure contro il contagio varate dalla Cei: dal numero limitato dei posti sulle panche alla mascherina obbligatoria, dalla sospensione del gesto della pace alla Comunione sulle mani. «Chiamiamole pure piccole restrizioni – dice il liturgista – che però non vanno a inficiare il senso della liturgia. Ciò che conta è l’attenzione alla salute: ci ha insistito a più riprese anche il Papa chiedendo di obbedire alle disposizioni sanitarie».
Dopo il lockdown la partecipazione alle Messe si è ridotta: mancano all’appello prima di tutto gli anziani. «È innegabile che le preoccupazioni siano un freno e che possano diventare una giustificazione a livello psicologico – sottolinea il sacerdote liturgista –. Il Covid alimenta la paura che limita l’espressione della corporeità anche nel culto. Direi che siamo come nella mattina di Pasqua quando le donne erano divise fra i timori e il desiderio di recarsi al sepolcro. Ma alle celebrazioni stanno venendo meno anche i ragazzi: i genitori preferiscono tenerli a casa magari perché hanno visto in famiglia forme gravi di contagio».
Prime Comunioni e Cresime. La celebrazione degli altri sacramenti, soprattutto quelli dell’Iniziazione crisiana, può proseguire. Tuttavia alcuni vescovi – come in Lombardia – raccomandano di posticipare Prime Comunioni e Cresime. E il vescovo di Biella, Roberto Farinella, nel Piemonte zona rossa, fa sapere: «Mi pare prudente suggerire di rimandare le celebrazioni che erano state programmate per questo periodo; dal momento che non sono espressamente proibite, si lascia ai parroci con le famiglie la decisione». Aggiunge don Cavagnoli: «Si tratta di celebrazioni in cui la condivisione della gioia è un elemento da non trascurare. La gioia è quella del ragazzo che si sente amato dal Signore e nel rito si rende presente anche attraverso i parenti e gli amici. Inoltre la Prima Comunione e la Cresima non vanno considerate alla stregua di una scadenza tassativa».
Una Messa al tempo del Covid seguendo le misure anti-contagio - Ansa
Le attività pastorali ridotte. Sul fronte delle attività pastorali, alla luce dell’ultimo decreto, la segreteria generale della Cei «consiglia una consapevole prudenza, raccomanda l’applicazione dei protocolli indicati dalle autorità e una particolare attenzione a non disperdere la cura verso la persona e le relazioni, con il coinvolgimento delle famiglie, anche attraverso l’uso del digitale». Tuttavia, nelle zone rosse si esorta «a evitare momenti in presenza favorendo, con creatività, modalità d’incontro già sperimentate nei mesi precedenti», ha annunciato Vincenzo Corrado. Comunque anche nelle diocesi delle aree marchiate con l’arancione o il giallo si è optato per una rimodulazione delle iniziative. Ad esempio l’arcivescovo di Trani-Barletta-Bisceglie, Leonardo D’Ascenzo, ha comunicato il blocco degli incontri in presenza di catechesi, dei percorsi formativi per giovani e adulti, degli incontri del clero o dei Consigli. Quindi ha spronato parroci, catechisti ed educatori «a non rinunciare alla loro missione educativa continuando ad accompagnare i ragazzi e le loro famiglie mediante l’utilizzo, dove possibile, dei social network o delle piattaforme web». Chiarisce il direttore della Rivista liturgica: «La catechesi ha bisogno del contatto, soprattutto per i giovani. Perciò la crisi sanitaria impone di sperimentare altre vie di annuncio. Internet non sostituirà mai il trovarsi in parrocchia, ma adesso può rappresentare un viatico e in futuro andrà valutato come un’ulteriore possibilità di contatto».
Il caso della Lombardia. La stretta dei vescovi: niente cori, né incontri dal vivo (di Marcello Palmieri)
Continuità, prudenza e creatività. Emergono queste dimensioni nelle linee guida offerte dai vescovi della Lombardia, una delle quattro regioni dichiarate zona rossa. Stavolta il lockdown è più mite rispetto a quello della scorsa primavera, ma proprio per questo servono indicazioni chiare e puntuali sulle attività ecclesiali ancora praticabili e – nel caso – in quali modalità. Le disposizioni sono consultabili sul portale dell’arcidiocesi di Milano, nelle pagine dell’Avvocatura, e disciplinano ad ampio raggio le situazioni pratiche che possono crearsi nella vita parrocchiale di queste settimane.
Il caso più comune è quello dei fedeli che si recano a Messa. «Se sottoposti a controlli da parte delle forze di polizia nello spostamento tra la propria abitazione e la chiesa e viceversa – si legge – potrà essere esibita l’autodichiarazione» con causale «stato di necessità». In questo momento le liturgie non possono essere animate dal coro, che pure non può effettuare le prove. È però ammessa la presenza dell’organista e di tre cantori al massimo che, così come organisti o sacristi, possono spostarsi all’interno della regione autodichiarando le «comprovate esigenze lavorative (e ciò vale anche in caso di personale volontario)». Le Prime Comunioni e le Cresime non sono state bloccate. Ma «vista la particolare situazione – esorta la Conferenza episcopale lombarda – è bene che il parroco faccia discernimento con la comunità cristiana (specie con il Consiglio pastorale o i catechisti) circa l’opportunità di celebrare i sacramenti nelle date fissate nel mese di novembre o se rinviare a un altro periodo». Diverse diocesi, tra cui quelle di Como e Lodi, sul proprio sito hanno messo a disposizione quattro tipologie di autocertificazioni: una per i fedeli, un’altra per i sacerdoti, un’altra ancora i segretari, i sacristi, gli organisti e il servizio liturgico in generale, quindi l’ultima per padrini e madrine.
Una Messa al tempo del Covid seguendo le misure anti-contagio - Siciliani
Le visite agli ammalati da parte dei ministri straordinari dell’Eucarestia sono sospese. Tuttavia, «i parroci e i responsabili di Comunità pastorale, valutandone l’opportunità, possono affidare questo compito a un parente convivente con il malato che sia fidato e conosciuto». Qualora vi sia necessità di amministrare i sacramenti della Penitenza e dell’Unzione degli infermi, dunque in «situazioni gravi», potrà rendersi disponibile il sacerdote, il quale è però chiamato ad attuare ben dettagliati accorgimenti idonei a evitare il rischio di contagio.
Gli incontri di catechesi in presenza sono sospesi, ma «si continuino in modalità a distanza (online)», auspicano i vescovi lombardi. Sul punto il presule di Crema, Daniele Gianotti, precisa che si tratta di «una misura precauzionale, forse in sé non rigorosamente necessaria (dal momento che anche la scuola in presenza continua, per la primaria e per il primo anno delle scuole medie)», ma è indice dell’attenzione che la Chiesa sta ponendo in questo particolare momento. Vietata anche ogni riunione ecclesiale in presenza, dai Consigli parrocchiali a quelli presbiterali. Allo stesso modo devono rimanere chiusi gli oratori: niente attività sportive e bar. Vi sono poi alcune disposizioni a livello locale. La Chiesa di Cremona, per esempio, ha fornito un protocollo anche «per il servizio alla carità in tempo di Covid»: un modo per dire – al di là delle disposizioni tecniche – che la Caritas c’è anche ora. E in sicurezza.