La Caritas riparte dalle sfide più importanti per portare la comunità cristiana accanto a chi soffre. Crisi economica e povertà in Italia e nel mondo, emergenza terremoto in Abruzzo e l’accoglienza dei migranti. Con una prolusione dove non sono rimaste celate le preoccupazioni, il vescovo di Lodi Giuseppe Merisi, presidente da poco più di un anno della Caritas italiana, ha aperto ieri i lavori del convegno nazionale in programma fino a giovedì a Torino. Lo ha preceduto il saluto del Cardinale torinese Severino Poletto, che ha invitato a utilizzare la crisi per diffondere nelle comunità un cambio negli stili di vita. Un richiamo su cui Merisi, che ha ricordato la sintonia della Caritas con il presidente e il segretario generale della Cei, si è allacciato per ricordare che «la questione che ci ha travolto tutti nell’ultimo anno è proprio la crisi finanziaria ed economica che chiede di ridefinire a livello culturale e comunitario il nostro modo di intendere la realtà, il rapporto tra fede e vita». Il vescovo ha fatto un bilancio delle iniziative anti-crisi. «Il Prestito della Speranza – ha commentato – promosso dalla Cei con la collaborazione dell’Abi rappresenta un segno importante della responsabilità che la Chiesa italiana ha voluto assumere, in una contingenza così drammatica. Questo impegno dovrà essere vissuto come un ulteriore ed opportuno strumento di solidarietà, da affiancare alle attività ordinarie e straordinarie per contrastare i fenomeni di povertà e disagio».Secondo Merisi presso tutte le Caritas diocesane italiane si rilevano circa 120 iniziative, «in molti casi Fondi diocesani di solidarietà costituiti all’uopo e iniziative di microcredito. Val la pena di raccomandare che le iniziative locali e quelle nazionali siano ben collegate con riferimento alle Caritas e agli uffici diocesani». A fronte della povertà mondiale crescente (un sesto del pianeta oggi soffre la fame), ha denunciato lo scandalo dell’escalation delle spese per le armi. «Purtroppo negli ultimi 10 anni le spese militari nel mondo sono aumentate addirittura del 45% arrivando alla cifra astronomica di 1.330 miliardi di dollari, più di 10 volte gli aiuti allo sviluppo ai Paesi poveri». E ha chiesto alle Caritas di non trascurare l’occasione di sensibilizzazione offerta dall’Ue, che ha dedicato il 2010 alla lotta alla povertà.Il punto sull’intervento post terremoto in Abruzzo ha riguardato i gemellaggi delle Delegazioni regionali Caritas, che «stanno intensificando in questi giorni la loro presenza nella vita delle comunità locali con la dislocazione di operatori fissi».«Gli interventi di ricostruzione – ha aggiunto Merisi – mirano prioritariamente a offrire alla popolazione terremotata luoghi adatti alla ripresa delle attività e anche della vita pastorale, che in questo momento costituiscono fondamentali spazi di incontro comunitario e di nutrimento dello spirito». Quindi il capitolo immigrazione, dal pacchetto sicurezza al respingimento dei barconi sul quale il presidente di Caritas italiana non ha nascosto alcune perplessità. Merisi ha ricordato «la grande domanda che rimane aperta, quella relativa all’adeguatezza dell’attuale legislazione nel contemperare le ragioni dell’umanità e del rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo, con quelle di una regolamentazione efficace e ordinata delle migrazioni nel nostro Paese». Merisi ha invitato a non dare spazio a ingenuità e pregiudizi. Quanto alle Caritas, «il nostro obiettivo principale deve essere quello di promuovere relazioni capaci di produrre integrazione nel rispetto delle persone e della legge».Sui rifugiati Merisi ha puntualizzato: «L’Italia nel corso dell’ultimo anno si è distinta per l’elevato numero di persone a cui è stata riconosciuta protezione internazionale, ma al contempo ha attuato una politica del contrasto dell’immigrazione clandestina, per sé legittima e necessaria, spesso pregiudizievole per i richiedenti asilo. Non è in discussione la necessità della legalità, semmai del rapporto tra la legalità e il rispetto dei diritti umani fondamentali». Infine, ha sottolineato la necessità di un rapporto sincero con le istituzioni pubbliche in nome della verità e della carità.«Sarebbe meschino opportunismo, dettato da ragioni semplicemente di consenso, non affermare con chiarezza la verità dentro alcune azioni o strutture di vita economica e sociale profondamente segnate dal peccato solo per non perdere l’aiuto di qualcuno. Nessuna commistione, né sudditanza, né presa di distanza pregiudiziale possono essere alla base di questo rapporto. Ma la consapevolezza di una una distinta vocazione della comunità cristiana e delle istituzioni civili, con una comune responsabilità: quella della costruzione del bene comune, senza discriminazioni di nessun tipo».