Comunicazioni sociali. Vescovi e giornalisti: Chiesa, idee nuove oltre la crisi
Una Messa trasmessa in tv durante la pandemia
Credo che per non smarrirci abbiamo bisogno di respirare la verità delle storie buone: storie che edifichino, non che distruggano; storie che aiutino a ritrovare le radici e la forza per andare avanti insieme. Nella confusione delle voci e dei messaggi che ci circondano, abbiamo bisogno di una narrazione umana, che ci parli di noi e del bello che ci abita.
Papa Francesco
«La vita si fa storia» Messaggio per la 54ª Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali
La Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali cade nella prima domenica in cui si tornano a celebrare le Messe col popolo. E il meeting nazionale «Giornalisti cattolici e non» che si è riproposto in rete e sui social ha messo a confronto comunicatori, vescovi e giornalisti a partire dal messaggio del Papa sul tema della vita che si fa storia, per capire come la pandemia cambi la comunicazione della Chiesa. Che si è adattata al lockdown e ha usato i nuovi mezzi valorizzando contemporaneamente quelli più legati alla comunità. La carità, l’ascolto, i tetti, le strade e i social, insomma.
Lo ribadisce il segretario generale della Cei, il vescovo Stefano Russo: «La comunione sacramentale è diventata difficile da vivere insieme, ma non è venuta meno la comunione che avviene attraverso la prossimità e la testimonianza nelle situazioni di indigenza. È la testimonianza della Chiesa che siamo e che vogliamo essere». La carità che si è reinventata con telefoni, social e tanti nuovi volontari giovani ha trasmesso vicinanza concreta. E la preghiera ha preso cittadinanza sui nuovi media, ma preti e vescovi hanno pregato anche sui tetti e per le strade.
La comunicazione più forte ed efficace rimane, però, la preghiera del Papa il 27 marzo quando, solo in piazza San Pietro sotto la pioggia, ricordò al mondo che siamo tutti nella stessa barca e che non si può essere sani in un mondo malato. «Ha scelto di comunicare in modo semplice – afferma Paolo Ruffini prefetto del Dicastero per le Comunicazioni sociali della Santa Sede – con un momento di preghiera dove la regia di Dio ci ha messo la pioggia battente. La piazza era idealmente piena delle persone di tutto il pianeta. Impressionante è stato vedere quanti hanno seguito e pregato, anche i non credenti hanno saputo trovare in quel momento qualcosa che li ha interrogati. Altri non credenti hanno scritto dicendo che seguivano la Messa del mattino a Santa Marta perché trovavano una chiave per capire».
Per il cardinale dell’Aquila Giuseppe Petrocchi è stata importante per la pastorale del lockdown l’esperienza del terremoto. «Comunicare va bene, ma bisogna imparare ad ascoltare i fenomeni di destrutturazione sociale e psicologica che vanno possibilmente soccorsi. Ma questa prossimità samaritana non si improvvisa. Ho pensato cosi di costituire un ufficio per la pastorale dell’emergenza perché l’esperienza fatta non diventi solo un ricordo». Concorda il vescovo di Rieti Domenico Pompili che vede nella pandemia «l’occasione per ricreare le relazioni e ridare alla Chiesa una prospettiva». Mentre l’arcivescovo di Camerino Francesco Massara, che ha coinvolto i giovani nel progetto Coronart, ammette la sofferenza per la mancanza delle celebrazioni. «Ma abbiamo trovato tutti gli strumenti possibili e immaginabili per entrare nelle case. È stato un banco di prova per rivedere la nostra pastorale, che non è fatta solo di culto ma soprattutto di prossimità. Prossimità elogiata anche dal vescovo di Bergamo Francesco Beschi. «Uno strumento importante è stato il quotidiano locale, l’Eco di Bergamo, perché ha raccontato le storie delle persone morte per la pandemia. Anche il Papa si è commosso».
Marco Tarquinio direttore di Avvenire ricorda le responsabilità dell’informazione in pandemia e in questo momento delicato di ripartenza. «La prima è stata quella di essere vicina e di esprimere la condizione delle persone senza stravolgere né enfatizzare. Poi la competenza: in queste settimane si è vista la rivincita dei competenti rispetto agli incompetenti nella politica e nell’informazione. A differenza di chi ha fatto giornalismo seguendo interessi di fazione, credo che serva saldezza per il bene comune. Il Paese e la democrazia hanno bisogno di un’informazione quotidiana di qualità».