Segni. A Milano, la città che corre, il monastero delle clarisse. Dove tutti rallentano
Il convento edificato nel popoloso quartiere di Gorla, sul Naviglio Martesana, dal 1958 “casa” delle Sorelle Povere di Santa Chiara
«In questa città ci sentiamo un segno di pace, di fraternità, di speranza. Era così all’inizio, con le cinque fondatrici della nostra comunità arrivate a Milano dal Protomonastero di Assisi nel 1944 attraversando il fronte, fra molti pericoli, mentre infuriava la Seconda guerra mondiale. È così oggi, con il nostro essere spazio di silenzio, accoglienza, ascolto e gratuità in questa metropoli che ha il culto del fare, del produrre, del competere, dell’apparire, e tuttavia è abitata da domande di senso in cerca di risposta, anche fra i tanti giovani che bussano alla nostra porta». Con queste parole suor Chiara Beatrice Calvi, madre della comunità delle Sorelle Povere di Santa Chiara, guida al cuore del significato della loro presenza a Milano.
Una storia che inizia ottant’anni fa. Fu il fondatore dell’Università Cattolica, il francescano Agostino Gemelli – sostenuto dall’arcivescovo, il cardinale Alfredo Ildefonso Schuster, e coadiuvato da Armida Barelli, cofondatrice dell’ateneo – a riportare le Clarisse a Milano, dopo la soppressione imposta dagli Asburgo nel 1782. Dal 1944 la comunità condivide il cammino della città e della sua Chiesa. E dal 1958, dopo diversi trasferimenti, ha sede nel popoloso quartiere di Gorla, alla periferia nord est di Milano, nel convento voluto e costruito a poca distanza dal monumento ai “Piccoli Martiri di Gorla”, eretto in memoria dei 184 bambini morti insieme al personale scolastico sotto le macerie della scuola elementare “Crispi” bombardata il 20 ottobre 1944 – lo stesso anno del ritorno delle Clarisse nel capoluogo lombardo.
«Condividiamo il cammino di questa città come presenza di vita contemplativa», riprende suor Chiara Beatrice. Come comunità di clausura, aggiungiamo. «La clausura è uno strumento, un segno esteriore che non sempre oggi viene immediatamente compreso», chiarisce subito la madre della comunità – diciassette sorelle, dalla più anziana, 102 anni, alla novizia, trent’anni. «Nella nostra stabilità desideriamo essere uno spazio di silenzio, ascolto, preghiera e gratuità in una Milano così spesso caratterizzata dal culto della performance e dell’immagine e dall’anonimato delle relazioni, eppure assetata di ascolto e di aiuto a cercare l’essenziale della vita».
Un momento di preghiera con le clarisse di Milano, dove sono arrivate 80 anni fa dopo due secoli di assenza - .
Se in passato arrivavano soprattutto gruppi provenienti da parrocchie, associazioni e scuole, «oggi vengono molte persone singole, talvolta anche non credenti, guidate dal passaparola. Il nostro monastero è situato accanto alla pista ciclabile, frequentatissima, che affianca il Naviglio Martesana. La chiesa è aperta tutto il giorno per chi vuole condividere con noi la preghiera e la liturgia. Offriamo a giovani e adulti percorsi di condivisione della parola di Dio e incontri di spiritualità. Siamo pienamente inserite nella vita della Chiesa locale, nella quale ci sentiamo valorizzate come sorelle contemplative – sottolinea la madre –. Negli ultimi anni, inoltre, si è sviluppata una bella rete di relazioni fra comunità claustrali di carismi diversi. Condividiamo, ad esempio, esperienze di formazione per le novizie e abbiamo incontri annuali con le abbadesse e gli abati dei monasteri presenti nella diocesi. Con chi viene a cercare ascolto e dialogo – spiega suor Chiara Beatrice – abbiamo scelto di esprimere la nostra identità e missione attraverso modalità nuove di accoglienza, che comunichino prossimità e condivisione e manifestino un’immagine di Dio più evangelica, quella di un Padre del quale scoprirsi figli amati, un Dio prossimo, compagno di strada».
«Nella nostra quotidiana preghiera d’intercessione – testimonia inoltre la madre – raccogliamo il grido di moltissimi fratelli e sorelle che portano il peso di tragedie personali, familiari, e di interi popoli. E invitiamo chi ci presenta situazioni difficili a pregare con noi, a rivolgersi al Padre con fiducia filiale. Egli ascolta ciascuno dei suoi figli, ne purifica la richiesta, ne converte la domanda. La preghiera è un mistero che riguarda l’intimità di un rapporto personale, non è la semplice soddisfazione di ciò che riteniamo essere un bene, per noi e per quanti amiamo».
Servizio molto prezioso è anche l’accompagnamento spirituale. «Che è nato in ambito monastico, per poi clericalizzarsi lungo i secoli finché, dopo il Vaticano II, la Chiesa ha riscoperto questa dimensione della vita monastica, maschile e femminile. Il nostro ascolto – la nostra maternità spirituale – , che nasce dal silenzio e dalla preghiera, si qualifica grazie alla vita di fraternità, che è scuola di umanità. Abbiamo abbracciato la stessa Regola, siamo state conquistate da Cristo e chiamate a una vita fondata sulla relazione con lui, ma siamo donne con età, storie, personalità diverse che vivono insieme 24 ore al giorno tutto l’anno, condividendo la preghiera, la liturgia, il lavoro manuale; imparando l’ascolto, la comprensione reciproca, l’integrazione delle differenze, il perdono. Questo ci aiuta anche a comprendere le fatiche della vita di relazione in famiglia, nelle comunità, nei luoghi di lavoro». Peculiare è pure il modo in cui è intesa e praticata l’autorità nel carisma di Chiara d’Assisi: «La madre è la serva delle sorelle; è la comunità riunita in capitolo che prende le decisioni. La sinodalità è nelle radici della spiritualità e del carisma di Francesco e di Chiara d’Assisi, che hanno scelto di seguire Cristo in fraternità e povertà, con uno stile di condivisione e di essenzialità. Ci basta il necessario per essere felici». Parole controvento, nella società d’oggi. Anche nella Chiesa, talvolta.
Ciò che spinge i giovani ad accostare il monastero, testimonia suor Chiara Beatrice, è il desiderio di ascolto e confronto davanti a scelte di vita, affettive o professionali, cruciali, o perché si vivono momenti di fatica, o per essere aiutati a crescere nel rapporto con Dio. Non pochi i “ricomincianti”: chi viene da esperienze spirituali ed ecclesiali forti, dopo tempi anche lunghi di indifferenza o abbandono, e ora vuole dare continuità al cammino riscoperto. «I giovani ci dicono di trovare, da noi, uno spazio di libertà e gratuità, un ascolto non giudicante, e di sentirsi voluti bene. Li accompagniamo con pazienza, rispetto, amore. Ma la risposta alle domande che abitano il loro cuore devono trovarla loro, mettendosi in ascolto del Vangelo».