Doveva essere una vigilia gioiosa, un anticipo di festa per la visita del Papa che oggi pomeriggio è atteso a Paphos. Ma alla veglia di preghiera che si è tenuta ieri sera nella capitale cipriota c’erano facce tristi e preoccupate, visibilmente segnate dal dolore e dallo sgomento per l’uccisione in Turchia del vicario apostolico dell’Anatolia, il vescovo Luigi Padovese. È la conferma di una situazione di grande precarietà che vivono i cristiani in questa regione. A Cipro la comunità cattolica locale è una realtà molto piccola, formata da maroniti e latini, in tutto meno del 3 % della popolazione in maggioranza ortodossa. «Siamo pochi ma buoni», dice con una battuta padre francescano Umberto Barato, vispo vicentino 80enne che da più di vent’anni è parroco di Nicosia. Sono solo duemila i cattolici ciprioti di rito latino ai quali però vanno aggiunti oltre ventimila stranieri in gran parte immigrati dall’Asia, l’Africa e l’America Latina. Basta recarsi a Messa un qualsiasi giorno feriale nella chiesa di Santa Croce e ci si trova immersi in una folla variopinta di ragazze filippine, famiglie colombiane, operai provenienti dall’India e dallo Sri Lanka. Alla fine della celebrazione recitano tutti insieme, in inglese, la preghiera per il Papa. Parole semplici e commoventi. «Signore, ti imploriamo: sii vicino al Santo Padre, dagli consolazione nella sua cura pastorale per la Chiesa e dagli forza per affrontare i problemi di questo mondo malato». Padre Barato va fiero della sua piccola comunità di Nicosia. «Alla Messa della domenica ci sono più di mille fedeli che per la maggior parte sono costretti ad assistere al rito fuori dalla chiesa!», racconta.In tutta l’isola operano nove frati minori della Custodia di Terra Santa, ci sono tredici parrocchie ed è intensa non solo l’attività pastorale ma anche quella educativa e assistenziale con decine di scuole, vari orfanotrofi e asili nido. «La cosa più importante è che i cattolici qui a Cipro godono di grande stima e rispetto sia da parte della Chiesa ortodossa che del governo, il quale versa addirittura uno stipendio mensile ai nostri parroci», spiega il padre francescano in una conversazione interrotta di frequente da coloro che vengono a chiedere a mani giunte uno o più biglietti per assistere agli incontri con il Papa. «Da questa visita la nostra Chiesa trarrà un nuovo slancio vitale, ne sono sicuro», conclude. Ma c’è ancora una cosa che vuole aggiungere. «Vede tutte queste persone che chiedono il biglietto? Non stanno più nella pelle di vedere il Santo Padre, vogliono stringersi a lui, consolarlo e ricevere consolazione. Sono soprattutto gli immigrati, poveracci che sopravvivono con umili lavori. Tanti di loro sono clandestini. Dal Papa si attendono aiuto e conforto e spero proprio che Benedetto XVI abbia una parola anche per tutta questa gente che rappresenta il futuro della Chiesa».Un futuro che è strettamente legato alla gloriosa storia del passato. Si tratta della Chiesa maronita, presente sull’isola da 1200 anni. Oggi ne rimangono seimila che celebrano i loro riti in lingua araba ed aramaica oltre che in greco. «Siamo fedeli al Papa e cittadini a pieno titolo di Cipro e vogliamo testimoniare i valori cristiani del dialogo, della pace e della tolleranza dentro questa società multiculturale», sostiene monsignor Youssef Soueif, giovane arcivescovo della comunità maronita di Cipro. I suoi membri sono ormai sparsi in tutta l’isola dopo che, con la guerra civile del 1974, quasi tutti furono costretti a lasciare i loro villaggi d’origine, situati nella parte nord occupata dall’esercito turco. Resta solo il villaggio di Kormakitis, abitato ormai da un centinaio di anziani. «Abbiamo sperato che il Papa vi si potesse recare nel corso della sua visita a Cipro, ma purtroppo le difficoltà politiche non l’hanno permesso», dice ad Avvenire l’arcivescovo con tono rassegnato. Dal nord arriveranno comunque vari fedeli per assistere agli incontri con Benedetto XVI. Abbandonati e dimenticati per decenni, sognano l’abbraccio con il Papa come un meritato compenso per tante sofferenze.