Cina. Presule "riconosciuto" da Roma guida ora la Conferenza dei vescovi
Cina, Messa in una chiesa cattolica
La vita della Chiesa cattolica in Cina è stata particolarmente dura negli ultimi due anni. Ma ora arrivano alcuni segnali di ripresa. Dopo molte restrizioni dovute al Covid 19, alle lunghe chiusure delle chiese per lockdown, all’impossibilità di viaggiare all’estero e di ricevere visitatori stranieri, assieme ai problemi creati dai nuovi regolamenti sulle attività religiose, si segnala una graduale ripresa di attività, come informa anche l’agenzia Fides che fa capo al Dicastero per l’evangelizzazione. Intanto, dopo la sospensione di molte attività on line, arrivano le prime autorizzazioni ad aprire siti cattolici su internet concesse in base alle nuove regole.
Sulla strada di questa ripresa si colloca anche il X Congresso dei rappresentanti cattolici - cui hanno partecipato vescovi, preti, religiosi e laici - che si è aperto il 18 agosto nella ormai nota città di Wuhan, di cui l’8 settembre scorso è stato ordinato vescovo monsignor Giuseppe Cui Qingqi, l’ultimo dei sei vescovi ordinati dopo l’Accordo tra Santa Sede e Cina del 2018. Al Congresso - svolto tra grandissime precauzioni per evitare una diffusione di contagi - erano presenti anche i dirigenti del Fronte Unito che ha competenza sulle religioni. La storia di questi congressi si radica in un passato di separazione da Roma, oggi superato dopo l’Accordo sino-vaticano. Tra i loro compiti rientra l’elezione dei vertici dell’Associazione patriottica e della Conferenza dei vescovi, entrambi non riconosciuti dalla Santa Sede, il primo perché non è un organismo ecclesiale e la seconda perché non ancora rappresentativa di tutto il cattolicesimo cinese (non è stata ancora risolta, infatti, la questione dei vescovi clandestini non riconosciuti dal governo). Nel 2010, l’VIII Congresso segnò l’inizio di un conflitto tra i più aspri nella storia dei rapporti tra Roma e Pechino. Ma molte cose sono cambiate dopo il 2018.
L’Associazione patriottica ha perso parte della sua importanza, con l’introduzione di una modalità di nomina dei vescovi concordata tra Santa Sede e governo cinese. La Conferenza dei vescovi, invece, si è rafforzata perché oggi i suoi membri sono tutti in comunione con il Papa. Per la prima volta ai vertici dei due organismi ci sono solo vescovi riconosciuti da Roma: Giuseppe Li Shan, vescovo di Pechino, che nel 2008 passò un momento difficile per aver auspicato una visita di papa Benedetto XVI in Cina, è stato chiamato alla guida dell’Associazione patriottica, e Giuseppe Shen Bin, di Haimen, che ha visitato più volte l’Italia, recandosi anche in preghiera sulla tomba di Pietro, è il nuovo presidente della Conferenza dei vescovi.
Dopo questo passaggio, sarà più facile per i vescovi cinesi - nel quadro, ovviamente, della “sinizzazione” e cioè di una piena sintonia con le autorità - promuovere una più intensa attività nei campi indicati da Shen Bin: catechesi, evangelizzazione e carità. La convocazione di questo Congresso prima di quello del Partito comunista che si terrà in autunno - forse nella seconda metà di ottobre - rientra nella volontà dell’attuale leadership cinese guidata da Xi Jinping di presentarsi a questo importante appuntamento politico con tutte le incombenze adempiute e presentando l’immagine di una società ordinata e stabile.
Ciò significa anche che nel caso sia riconfermata - com’è molto probabile tale leadership intende far proseguire la vita della Chiesa cattolica in Cina lungo i binari stabiliti negli ultimi anni. È probabile che in tempi brevi ci sarà anche il rinnovo dell’accordo biennale tra Santa Sede e Repubblica popolare cinese - già rinnovato una prima volta nel 2020 -, forse anch’esso prima del Congresso del Partito. Ciò non significa ovviamente - come ripetuto tantissime volte dal segretario di Stato cardinal Pietro Parolin - che tutti i problemi siano risolti e c’è da sperare che qualche passo avanti venga fatto già in occasione di tale rinnovo.
Per quanto riferito alla realtà specifica della Chiesa cattolica cinese, tutto ciò acquista particolare rilievo in un momento di crescente tensione tra Stati Uniti e Cina per la questione di Taiwan. Dopo la visita di Nancy Pelosi a Taipei, infatti i rapporti sino-americani si sono fortemente inaspriti, rafforzando tra l’altro i legami tra Cina e Russia mentre prosegue la guerra in Ucraina. In questo contesto, la continuazione del rapporto tra Santa Sede e Cina acquista la valenza di un messaggio di pace, mostrando la possibilità di un dialogo non solo tra posizioni ma anche tra convinzioni su cui le due parti sono profondamente lontane. È un messaggio che mostra le grandi potenzialità del dialogo politico-diplomatico quando non si limita alla difesa di interessi immediati ma è ispirato da una visione di fondo sul futuro dell’umanità che oggi più che mai non ha bisogno di guerra ma di pace.