Chiesa. Il ruolo delle donne. La religiosa psicologa: «Regole chiare anti-soprusi»
«Essere disponibili e creative è parte del nostro essere suore. Nessuno, però, deve approfittarne» dice con chiarezza la religiosa americana che ha affrontato diversi casi di consorelle in difficoltà
«Che cosa sarebbe la Chiesa senza le religiose e le laiche consacrate? Non si può capire la Chiesa senza di loro ». Papa Francesco ha dedicato l’intenzione di preghiera per il mese di febbraio donne che, con differenti modi e carismi, offrono l’esistenza per il Vangelo.
Tante, tantissime uniscono all’impegno contemplativo e pratico in favore degli ultimi, dei fragili, dei dimenticati, il lavoro all’interno delle strutture ecclesiali. A queste ultime il Pontefice ha rivolto lo speciale invito a «lottare quando, in alcuni casi, vengono trattate ingiustamente, anche all’interno della Chiesa, quando il loro servizio, che è tanto grande, viene ridotto a servitù. E a volte da uomini di Chiesa». Un’affermazione importante per quanto non nuova nel contenuto. Più volte, Francesco ha ribadito che il servizio - in particolare quello femminile - non deve trasformarsi in servitù. Nella famiglia, nella società, nella Chiesa. Anche e, forse, specie in quest’ultima, il rischio è alto.
Ad ottobre, lo aveva denunciato su Donne Chiesa mondo, mensile dell’Osservatore romano, nell’intervista con Federica Re David, Maryanne Loughry, suora della Misericordia, docente al Boston College, psicologa sociale con una lunga esperienza nell’accompagnamento dei profughi e migranti nei «confini caldi » del pianeta. Occorre «trasparenza e la conoscenza dei propri diritti basata dove possibile su accordi scritti», aveva detto in quell’occasione.
Ora, dopo l’esortazione del Pontefice, lo ribadisce: «La soluzione passa per regole definite, trasparenti e attualizzate». In questo processo di riconoscimento delle istanze femminili all’interno della Chiesa, le parole del Papa sono «un passo importante. Molto importante. Incoraggiano quante di noi si sentono poco valorizzate o sfruttate a combattere, evangelicamente, per il rispetto dei propri diritti. E ci stimola all’azione», australiana ma residente da anni negli Usa.
Suor Maryanne ha le idee chiare. Il suo slogan è «migliori politiche, migliori pratiche». «Al momento, la situazione delle religiose o le consacrate impegnate in incarichi nelle istituzioni ecclesiali varia da Paese a Paese. In alcuni, come l’Australia, il loro lavoro è definito in base ad intese formali. Altrove, come in India o Indonesia, si fanno accordi verbali, in genere abbastanza vaghi. Quando anche vengono scritti, non rispondono alle esigenze attuali. In altre nazioni ancora, ad esempio gli Stati Uniti, dipende dall’ente. È necessario ovunque che sia le suore sia i datori di lavoro abbiano ben chiari orari, mansioni, risorse a disposizione per svolgerle». Altrimenti si generano false attese nei secondi e una sorta di «obbligo morale» nelle prime che, per questo, obbediscono senza discutere per «cultura clericale» o per timore di far fare brutta figura alla congregazione di appartenenza. «Così varie consorelle – aggiunge la suora della Misericordia – finiscono per lavorare nel fine settimana e nei giorni di riposo senza avere più tempo per sé stesse o le loro congregazioni». In mancanza di una definizione chiara, il lavoro della religiosa dipende dal rapporto personale che instaura con il parroco o con il vescovo. «Se questi cambiano, alcune addirittura si trovano senza casa o devono affrontare un demansionamento di fatto. Tante, dunque, perdono motivazione, slancio e interesse. Soprattutto le giovani, più consapevoli dei propri diritti ma anche quelle con meno potere negoziale, si sentono profondamente mortificate».
A volte, alcune soffrono di una vera e propria sindrome da stress lavorativo, il cosiddetto «burnout». Un fenomeno purtroppo diffuso: riguarda un impiegato su cinque, secondo le statistiche del New York Times. Nella Chiesa, la questione è stata affrontata dall’Unione internazionale delle superiore generali già nel 2020, con un laboratorio affidato proprio a suor Maryanne, come raccontato da Donne Chiesa mondo. «Mi sono imbattuta in molti casi. Ogni volta, ho suggerito alla consorella di parlarne con la sua superiora e, poi, di confrontarsi con il datore di lavoro con serenità ed educazione. Magari di farsi aiutare in questo da un’altra religiosa o ancor meglio laica con meno vincoli e maggiore libertà di azione». Pur con lentezza, però, qualcosa sta cambiando. Nell’intera società, anche grazie a movimenti come il #MeeToo, e nella Chiesa. «La Uisg sta facendo un grande lavoro di sensibilizzazione e accompagnamento nei confronti delle superiore – conclude suor Maryanne – affinché lavorino insieme per tutelare le consorelle dal rischio di sfruttamento. Essere disponibili e creative è parte del nostro essere suore. Nessuno, però, deve approfittarne».