Chiesa

Martiri. La Chiesa giapponese, grande testimone

Giampiero Bernardini mercoledì 15 gennaio 2014
La storia dei cattolici giapponesi è, come ha detto nell'udienza del mercoledì papa Francesco, esemplare. Esemplare perché ci testimonia fino a che punto un piccolo resto di popolo possa rimanere fedele a Cristo nonostante tutto. Nonostante le persecuzioni. In particolare, lo ha ricordato Francesco spiegando l'importanza del sacramento del Battesimo, la Chiesa giapponese è riuscita a sopravvivere per due secoli e mezzo senza sacerdoti. Se è potuto accadere è stato per merito del Battesimo. Questo può essere impartito da chiunque sia a sua volta stato battezzato. Non occorre un prete. Così i cattolici giapponesi, vivendo di nascosto e pregando con ardore e continuità, hanno sfidato per generazioni la morte. I credenti poi si sposavano pur senza un prete davanti a Dio, in quanto gli sposi sono gli stessi ministri del sacramento. E quando nel 1853, in seguito a un conflitto commerciale con gli Stati Uniti, l'imperatore fu costretto a riaprire le frontiere, e i missionari poterono rientrare nel Paese del Sol Levante, questi ebbero la sorpresa di vedere uscire dalle catacombe migliaia di credenti. Quel "resto di Israele" che era rimasto fedele a Dio fu felice di riavere di nuovo, dopo tanto tempo, con sé i sacerdoti e di potere finalmente celebrare l'Eucarestia, rimasta per loro solo un desiderio. Come dice Francesco «Erano sopravvissuti con la grazia del loro Battesimo! Questo è grande: il popolo di Dio trasmette la fede, battezza i suoi figli e va avanti».  Questo popolo cristiano, prima di rimanere solo e isolato, si era forgiato nel sangue delle persecuzioni. La storia della Chiesa giapponese infatti è segnata dal martirio. La prima comunità dell'arcipelago nipponico fu fondata a Kagoshima dal gesuita san Francesco Saverio nel 1549, oggi patrono delle missioni. Le conversioni non mancarono e per alcuni decenni le cose andarono bene, senza contrasti. Anzi si fecero cristiani anche molti nobili e signori. Nel 1587 scoppiò la prima tempesta. I cattolici erano oltre duecentomila, con 43 sacerdoti e qualche decina di chierici. Nel luglio venne proclamato un editto contro di loro, che minacciava anche dure punizioni se avessero continuato a professare la loro fede. Diverse le motivazioni. Si va dalla paura diffusa tra i ceti dominanti di un'eccessiva influenza straniera nel Paese, all'opposizione che alcune vergini cristiane entrassero nella cerchia delle concubine dell'imperatore. L'editto però non venne applicato, ma restò come testo promulgato e facilitò poi la ripresa della campagna anticattolica, fornendo una base legale. Un po' come era successo nell'Impero romano in cui il cristianesimo era stato ritenuto "superstitio illicita": la persecuzione sistematica non scattò subito, ma il Senato Consulto, come studiato dalla storica Marta Sordi, servì come base giuridica per i futuri persecutori.  Così nel 1597 i nemici della Chiesa tornarono all'attacco con un nuovo decreto di persecuzione. Questa volta a causarlo fu la paura di una possibile invasione straniera da parte del dissoluto e violento imperatore Taikosama Hideyoshi. La sua fobia venne anche alimentata dai racconti di un capitano spagnolo che sosteneva che l'espansionismo dei re di Spagna era sostenuto dai missionari. Così tre gesuiti, 6 francescani e 17 terziari francescani, furono catturati, torturati, mutilati e trasportati per le vie della città di Miyako. Diversi di loro erano giapponesi. Uno spettacolo straziante che le vittime sopportarono, come raccontarono i testimoni, con serenità e pregando. Furono poi, sempre su delle carrette, trasportati fino a Nagasaki. Il viaggio durò 26 giorni. Qui li attendeva il martirio della croce. Il comandante di Nagasaki tentò di convincere due giovanissimi anche loro sui carri dei condannati. Invano. Nessuno rinnegò la fede in Cristo. Fu loro concesso di confessarsi, ma non di comunicarsi. Infatti ai sacerdoti che si erano presentati, nonostante la persecuzione, per assisterli fu vietato di celebrare Messa. Furono messi in croce. Ventisei croci vennero innalzate. Il giovanissimo Antonio per conto suo intonò il salmo "Lodate fanciulli il Signore". Lo seguirono altri due compagni. Tutti prima di essere crocifissi si erano inginocchiati e avevano baciato il legno che li avrebbe uccisi. Furono canonizzati da Pio IX li canonizzo nel 1862. Ma le persecuzioni non terminarono qui. Dopo la morte dell'imperatore seguì un periodo di relativa calma. Il potere era impegnato nella lotta per la successione. Finché non si arrivò al 1614, quando il monaco zen Konchiin Suden redasse un decreto di espulsione di tutti i missionari dal Giappone. Tra le accuse ai cattolici anche quelle di avere diffamato lo scintoismo, calunniato la vera legge e corrotto la bontà. I cristiani si inabissarono nella clandestinità. Camuffarono simboli e canti sotto spoglie stilistiche buddiste. Intanto tutte le chiese vennero distrutte e i monaci buddisti furono incaricati che non ci fossero più cattolici. Tutti dovevano seguire un corso religioso e ricevere l'attestato di ortodossia religiosa, accettabilità sociale e fedeltà al governo. Nel caso venissero scoperti era loro destino finire giustiziati, a meno che non abiurassero. La pena di morte veniva eseguita a Nagasaki, sul monte Unzen. Eppure la Chiesa giapponese sopravvisse. La sua fede non venne meno. E, come ha ricordato Francesco, ai bambini si continuò a impartire il Battesimo, rendendoli parte integrante della Chiesa universale.