Chiesa

Il centenario. Charles de Foucauld, il «fratello» di tutti

Laura Badaracchi mercoledì 30 novembre 2016

Acento anni dalla sua morte, avvenuta il 1° dicembre 1916 nel deserto algerino di Tamanrasset, il beato Charles de Foucauld ha ancora un messaggio attualissimo da comunicare: «Anzitutto, il fulcro del suo carisma, che è la vita quotidiana di Nazaret come testimonianza del Vangelo nella semplicità, nell’impegno del lavoro, mantenendo sempre al centro l’umanità che ci lega gli uni agli altri, perché siamo tutti fratelli», ricorda padre Andrea Mandonico, 61 anni, della Società delle Missioni africane, istituto missionario nato nel 1856 a Lione.

Dal 2012 è vicepostulatore della causa di canonizzazione di frère Charles, a cui lo lega una profonda sintonia: «Mentre frequentavo il liceo in Seminario a Crema, un compagno mi passò un libretto su di lui. Rimasi colpito: la sua esperienza mi suggeriva come vivere la fede. Su di lui è incentrata la mia tesi di dottorato in teologia spirituale». Il secondo aspetto del beato che parla agli uomini e alle donne del terzo millennio «è la vicinanza al prossimo.

Amare Dio e il prossimo sono due aspetti inscindibili. Lui si è fatto vicino al popolo tuareg in Algeria, emarginato e povero, e suggerisce a noi oggi una vicinanza agli ultimi per vedere in loro la presenza di Gesù e in chiunque si affaccia alla nostra porta la presenza di Gesù. Fra l’altro, anche i musulmani vivono la regola dell’elemosina e dell’amore al povero». In terzo luogo, Charles de Foucauld «ci ha lasciato l’eredità del dialogo: è stato un uomo che ha dialogato con tutti, perché il dialogo smonta i pregiudizi reciproci e avvicina fino a trasformarsi in amicizia per vivere la fraternità.

Lui l’ha vissuto fino alle estreme conseguenze: venne ucciso in una razzia. Ma era convinto dell’urgenza di stringere rapporti di fraternità e vincere la paura che ci separa gli uni dagli altri». Il bisogno di dialogo e amicizia emerge costantemente anche nelle oltre 7mila lettere (pubblicate quasi tutte in francese, non in italiano) scritte dal Beato Charles, che voleva essere «fratello universale e vivere in amicizia con tutti: giudei cristiani e musulmani», rimarca padre Mandonico, che sta tenendo per il secondo anno consecutivo un seminario su de Foucauld al Centro studi dialogo interreligioso della Pontificia Università Gregoriana, sul tema “Cristianesimo e islam: una fraternità possibile?”.

A dare il via libera alla beatificazione, il 13 novembre 2005, la guarigione inspiegabile della signora Giovanna Pulici, originaria di Desio. «Aveva un tumore osseo in fase terminale, alla fine degli anni Settanta. Curata a Milano, fu mandata a casa dai medici perché non c’era più nulla da fare. Il marito, grande devoto di frère Charles, gli disse: “Pensaci tu”. La donna guarì improvvisamente, il giorno di Pasqua era in chiesa a ringraziare il Signore con sua famiglia». Molti anni dopo, nel 2000, il marito con le figlie era a Roma per l’Anno Santo: «Ha visto passare una piccola sorella di Gesù per strada e l’ha fermata chiedendole: “Quando vedremo fratel Carlo canonizzato?”. Lei rispose che ancora non era beato, perché per far andare avanti la causa occorreva la certificazione di un miracolo. E lui: “Il miracolo ce l’ho io”».

Lo stesso padre Andrea è stato impegnato nella raccolta della testimonianza, del dossier medico di Giovanna e della sua cartella clinica. E riferisce che proprio in occasione del centenario della morte di frère Charles «dalla Francia alcuni vescovi hanno inviato al Santo Padre lettere per chiedergli la canonizzazione anche senza un secondo miracolo, per la fama di santità». Oggi circa 20 associazioni e congregazioni fanno parte della famiglia spirituale del beato e si ispirano al suo carisma.