Chiesa

Perdonanza. E Celestino V aprì una porta per il Cielo

Alessia Guerrieri sabato 23 agosto 2014
Un’onda avversa nella navigazione della vita non è di per sé causa di annegamento, probabilmente se «capovolge la nostra imbarcazione esistenziale è perché l’abbiamo presa male». Usa metafore marinare l’arcivescovo dell’Aquila Giuseppe Petrocchi nel suo consueto messaggio alla città per la 720ª edizione della Perdonanza celestiniana, che si apre stasera in piazza Duomo con l’accensione del tripode della pace. Il terremoto del 2009 è sempre sullo sfondo con le sue difficoltà, le prove a cui sta sottoponendo il capoluogo abruzzese; un calvario però che può aiutare a sperimentare la forza di aprire il cuore alla riconciliazione. Così la prontezza a perdonare come insegna il Signore, ricorda il pastore, «ci consente di alleggerire la nostra barca interiore, scaricandola da pesi che ci impedirebbero di manovrarla adeguatamente quando incappiamo in qualche burrasca». Perché si dovrebbe perdonare? Soprattutto, perché perdonare quando si pensa di aver ragione? Domande che solcano la mente di ognuno, ma l’insegnamento che il Signore ha dato spalancando le porte del Suo perdono, ancora una volta indica la via. Lo ripete più volte, l’arcivescovo Petrocchi, «il perdono che abbiamo ricevuto è infinitamente più grande di quello che possiamo dare». Ecco perché bisogna imparare ad essere misericordiosi, che non significa certo dimenticare, bensì «purificare la memoria, per evitare che il rancore ci impedisca di accogliere e di donare amore». Navigando, insomma, in modo virtuoso. Il mare, come la vita, è pieno di insidie e di eventi improvvisi che solo attraverso la fede si riescono a comprendere; tuttavia i risentimenti covati dentro, le inimicizie militanti, le aggressività graffianti costituiscono «una pericolosa zavorra che ci spinge in basso» e porta ad affrontare in modo errato le prove di ogni giorno. «Perdonare conviene – dice perciò Petrocchi agli aquilani – anche perché le prime vittime del non-perdono siamo noi stessi». Pietro da Morrone, infatti, ricorda che è il segreto sta tutto nel vivere il Vangelo, nella Chiesa e come Chiesa, seguendo il faro-guida che è Gesù, verità, vita e via. Forse in questo modo non si eviteranno i problemi, continua l’arcivescovo, ma certamente «ci consente di trasformare ogni evento in benedizione, diventando dispensatori di letizia e costruttori di pace». Il suo simbolo, il ramoscello d’ulivo con cui bussando per tre volte verrà aperta la Porta Santa, quest’anno verrà tenuto in mano dal cardinale Ennio Antonelli. Sarà dunque affidato al presidente emerito del Pontificio Consiglio per la famiglia il compito di spalancare, giovedì a l’Aquila, l’imponente uscio di legno attraversato da migliaia di persone in meno di un giorno. Ma le celebrazioni cominceranno ufficialmente questa sera, alle 20.30 con l’accensione del fuoco del Morrone. Sarà Fadi Obeid, un giovane arabo-palestinese di religione cattolica di rito orientale a consegnare la fiaccola del Perdono, partita il 16 agosto dall’eremo di Sant’Onofrio, nelle mani del primo cittadino. Fadi dormiva nella Casa dello studente la notte del 6 aprile 2009, ma la sua camera era nell’ala dell’edificio miracolosamente rimasta in piedi. Comunque gli eventi clou saranno tutti concentrati nelle giornate del 28 e 29 agosto, con inizio alle 16 del Corteo della Bolla e arrivo in Basilica alle 18 con successivo rito di apertura della Porta Santa. Fino alle 18.30 del giorno successivo, quando la celebrazione presieduta dell’arcivescovo dell’Aquila darà avvio al rito di chiusura del portone, si susseguiranno la Perdonanza dei giovani, degli scout, delle aggregazioni laicali, dei lavoratori, dei malati, dei religiosi e delle Forze armate.