Veglia. Il cardinale Bassetti: servono pane, lavoro, cure. È l’ora della responsabilità
Il presidente della Cei, cardinale Gualtiero Bassetti, nella Cattedrale di Perugia
Nonostante nella società sembra che prevalgano le «zone di tenebre e tanta paura» anche a causa del Covid, «mai come in questo nostro tempo è necessario aprirsi alla speranza». Sono parole di incoraggiamento quelle che giungono dal cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei e arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, durante la Veglia pasquale celebrata nella Cattedrale del capoluogo umbro. Rispettate tutte le misure anti-Covid con il contingentamento del numero dei posti disponibili e i ritocchi alla liturgia. Così il coronavirus entra nella celebrazione anche attraverso la riflessione del cardinale in cui ricorda la sua malattia dovuta al contagio del virus che a novembre lo ha costretto a dieci giorni di terapia intensiva e a un mese di ricovero. «Anch’io – racconta nell’omelia – ho corso il rischio di dover lasciare questo mondo ed ho avuto paura. Ci sono tante cose che ogni giorno possono farci temere, e sono come tante pietre pesanti sul cammino della nostra esistenza. Ma non temete: lo Spirito Santo, che è l'amore del Padre, ci ripete: "Non abbiate paura!". Cristo è risorto!»
Bassetti chiede di «diffondere i frutti della Risurrezione». Soprattutto verso «chi ha bisogno di pane, chi ha bisogno di casa, chi ha bisogno di lavoro, chi ha bisogno di ospedale». Perché, denuncia il presidente della Cei, «ora è diventato più difficile poter curare anche ciò che non è pandemia e gli ospedali hanno enormi difficoltà». L’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve cita la Via Crucis presieduta dal Papa in una piazza San Pietro vuota. «Ho assistito alla trasmissione del rito. Sul volto scavato del Santo Padre c’era il dolore di questa umanità, così provata dalla pandemia e triste, come se la speranza fosse morta. Quei bimbi con le loro riflessioni e le loro preghiere sono stati per tutti noi la carezza di Dio».
Il cardinale spiega che in questo frangente «grande è la nostra responsabilità di credenti». Poi ammonisce: «Noi cristiani siamo interpellati». Guai a restare alla finestra. Guai a non «annunciare Cristo». Guai a voltarsi dall’altra parte quando qualcuno è nella necessità. Come lo sono «i poveri e i disperati che giungono dai Paesi della guerra, vittime di situazioni assurde, disumane, createsi in questi anni, con in più la tragedia mondiale del virus», dice il porporato. E come lo sono «quanti, anche da noi, tra breve avranno urgenza di lavoro, di casa, di aiuti economici e di solidarietà». Da qui l’invito del presidente della Cei a spalancare «la mano per aiutare i fratelli secondo le possibilità. Infatti la carità autentica garantisce l’esperienza pasquale, facendoci passare dalla morte alla vita».