Chiesa

Torino. Bassetti al Sermig: l'Italia ha bisogno di speranza

Giacomo Gambassi, inviato a Torino sabato 10 marzo 2018

Il cardinale Bassetti celebra la Messa all'Arsenale della pace (Foto Gambassi)

Pioviggina a Torino, alle otto di questa mattina, quando il cardinale Gualtiero Bassetti entra nel cortile d’ingresso del Sermig. Il presidente della Cei osserva intorno e alza lo sguardo. «Ancora si vedono i segni di quella che fu una fabbrica di armi e morte», sussurra. Oggi è l’Arsenale della pace. Un’«oasi di pace per la Chiesa e la società intera», la definisce Bassetti nel saluto iniziale della Messa che celebra in questo laboratorio d’accoglienza e riconciliazione sulle rive della Dora Riparia nel cuore del capoluogo piemontese.

Le due giornate torinesi del presidente della Cei si concludono al Sermig (Servizio missionario giovani), dopo che ieri, venerdì, aveva celebrato con un’Eucarestia e una catechesi i 150 anni della Basilica di Maria Ausiliatrice, il santuario eretto da san Giovanni Bosco in onore della Vergine. Oggi è l’ex stabilimento bellico ad accogliere il cardinale. O meglio, è il suo riscatto, la sua “conversione” in avamposto di una «Chiesa scalza», secondo l’intuizione di Ernesto Olivero, fondatore del Sermig. Con la Bibbia in mano, prende sottobraccio il presidente della Cei e lo conduce nel suo “sogno” divenuto realtà. «Ci sono incontri che segnano la vita – racconterà al termine -. E uno di questi è con il cardinale Bassetti. Uniti nella preghiera continuiamo con maggiore slancio il nostro impegno».

Bassetti si ferma davanti alla scritta che è un po’ il simbolo del Sermig. «La bontà è disarmante», si legge nel muro diroccato al centro del piazzale interno. Il tetto della fabbrica non c’è in quel punto. Restano solo le travi. «Cristo ci ha detto: “Vi do la mia pace” – spiega il cardinale –. La pace è il dono del Risorto all’umanità e alla sua Chiesa. Ecco perché siamo chiamati a mettere a frutto tutti i nostri talenti, magari anche quelli che non sappiamo di avere, per essere annuncio e profezia di pace». Davanti a sé, nella chiesetta del Sermig, ha una rappresentanza del “popolo” dell’Arsenale della pace: sacerdoti, famiglie, consacrati e consacrate della Fraternità, anziani e soprattutto giovani. «Sono oltre mille i volontari che operano con noi», fa sapere Olivero.

E quando Bassetti gli chiede perché abbia scelto proprio un ex stabilimento militare come sede del suo “sogno”, il fondatore cita una figura cara al cardinale toscano: il sindaco “santo” di Firenze Giorgio La Pira. «Ero un giovane e chiesi di essere ricevuto da La Pira – racconta Olivero –. Fu lui a farmi conoscere la profezia di Isaia». È quella in cui si annuncia che “un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo e non si eserciteranno più nell’arte della guerra”. Ed è il passo della Scrittura che ispira da mezzo secolo il Sermig e dal 1983 l’Arsenale che adesso è presente anche in Brasile e Giordania. «La Pira – dice Bassetti nell’omelia – è uno dei grandi testimoni che ci indicano la via. La via delle lance che si forgiano in falci e che qui si è già realizzata perché un luogo legato alla guerra è stato trasformato in culla della cultura dell’incontro». E il presidente della Cei lo tocca con mano nel viaggio dentro il complesso. Ad esempio, quando entra nel salone della “mondialità” che già alle nove è pieno di ragazzi di più di venti nazionalità. «Davvero c’è tutto il pianeta fra queste mura», esclama il porporato. Oppure quando si immerge nella sezione “Madre Teresa” che accoglie i profughi del Nord Africa in fuga dai conflitti. O ancora nelle sale mensa e nei dormitori dove ogni giorno vengono serviti 4mila pasti o trovano un letto 2mila “dimenticati”. Oppure nel grande poliambulatorio medico gestito da dottori volontari.

Nel suo viaggio con Bassetti, il fondatore del Sermig ricorda anche Paolo VI. «Incontrai papa Montini senza avere un appuntamento. Nel colloquio sottolineai che non mi piaceva una Chiesa ricca e staccata dalla gente. Paolo VI mi abbracciò e mi disse: “Torna a Torino, terra di santi, per una rivoluzione d’amore”». E subito Olivero aggiunge: «Bisognerebbe che i Papi avessero il coraggio di incontrare chi bussa alla loro porta e ha il coraggio della profezia». Poi tiene a precisare: «Non siamo pacifisti ma operatori di pace. Se oggi non c’è uno scatto di conversione, siamo in uno dei momenti più bui della storia»

Nella Scuola di musica che coinvolge più di 200 giovani viene dedicata al presidente della Cei la canzone Dammi oggi il pane. La esegue il consacrato Marco Maccarelli. A comporre la musica Mauro Tabasso. Le parole sono di Olivero e richiamano proprio i concetti accennati da Bassetti nella Messa quando chiede di pregare perché «a nessuno manchi il pane quotidiano» e perché «nel cuore di ogni donna e uomo ci sia sempre il pane del perdono». Nell’omelia chiede di non ascoltare i «profeti di sventura» e di saper vedere «i segni della primavera come suggeriva La Pira». Poi il riferimento alla preghiera. «Se uno ostenta ciò che ha fatto, la sua sarà una preghiera dell’”io” che non andrà fuori di se stesso. La preghiera che arriva a Dio è quella umile. Del resto anche in mezzo alle nostre ferite e ai nostri errori il Signore ci avvolge sempre con la sua misericordia». E lasciando come una consegna all’Arsenale giunge dal cardinale l’incoraggiamento: «Siamo piccoli, siamo come lucciole. Ho ben impresso nella mente quelle minuscole lucciole che vedevo da ragazzo risplendere nei campi di grano. Erano una bella compagnia. Ecco, con le vostre opere siete una compagnia preziosa in questa nostra Italia che ha davvero bisogno di speranza».