Con un sorriso. E disponendosi all’ascolto. Così il cardinale Angelo Scola vorrebbe accogliere i venti milioni di visitatori attesi all’Expo, se potesse salutarli ad uno ad uno. L’esposizione universale dedicata al tema «Nutrire il pianeta, energia per la vita», che si terrà a Milano dal 1° maggio al 31 ottobre, è un’occasione preziosa per riconoscere «la bellezza di appartenere tutti ad una famiglia umana voluta da Dio». E per rilanciare l’impegno contro la fame nel mondo. È l’auspicio dell’arcivescovo di Milano, in questa intervista raccolta insieme a Tv 2000 durante la prima visita del porporato al padiglione della Santa Sede e all’«edicola» di Caritas Internationalis, ormai quasi ultimati all’interno del sito espositivo di Rho-Pero.
Perché la Chiesa ha deciso di partecipare all’Expo?Siamo figli di un Dio incarnato. Perciò ci interessano tutte le manifestazioni dell’umano. Gesù ha detto di essere via alla verità e alla vita. Di fronte a un tema come quello dell’Expo 2015, era impossibile che la fede non si sentisse provocata.
«Non di solo pane» è il tema del padiglione della Santa Sede. Di cosa ha bisogno l’uomo per essere nutrito?L’affermazione «Non di solo pane», così potentemente radicata nella Scrittura, dice che per dare energia all’uomo non basta nutrire il corpo: bisogna pensare alla totalità dell’io. L’uomo, ci ricorda il Concilio, è «uno» di anima e di corpo (
Gaudium et spes, 14). E si alimenta allo stesso tempo di cibi materiali e spirituali. Ma i cibi spirituali hanno questa caratteristica: lentamente attraversano anche i bisogni materiali dell’uomo. In questo padiglione si potrà mostrare come il bisogno di cibo è attraversato da una domanda che lo eccede da tutte le parti.
Con la Caritas, la sua «edicola», i suoi eventi, la Chiesa porta in Expo la voce dei poveri e degli affamati del pianeta. Perché?Come ripete papa Francesco, partire dalla carne dei poveri, oggi, è condizione fondamentale per promuovere, contro la cultura dello scarto, l’uomo tutto intero. La presenza di Caritas Internationalis, che ha convocato a Milano le Caritas di tutto il mondo, permette di prendere di petto un tema che Expo non poteva eludere e che grida vendetta al cospetto di Dio: 800 milioni di persone patiscono gravemente la fame. Avremo l’occasione di scandagliarne le cause, cercando quali nessi virtuosi instaurare tra l’affronto di questo tema, le sue premesse e le sue implicazioni economiche, politiche e educative, delimitando in tal modo il peso delle tecnocrazie.
Quali provocazioni offre l’Expo alla Chiesa italiana in cammino verso il Convegno ecclesiale di Firenze?Partendo dai temi presenti nel titolo di Expo – «alimentazione», «energie per la vita», «pianeta» – possiamo far emergere quegli interrogativi decisivi che la Chiesa italiana ha identificato con il tema del nuovo umanesimo. Il che significa certo porre al centro l’uomo, ma il problema è farlo oggi, in una società caratterizzata da processi difficilmente dominabili dall’uomo stesso. Penso all’evoluzione delle biotecnologie e delle neuroscienze, alla civiltà delle reti, al meticciamento delle culture, alla crescente complessità dell’economia e della finanza.
Con oltre 250 iniziative di preparazione a livello locale, numerosi eventi in programma nei sei mesi di Expo, centinaia di volontari, la diocesi di Milano ha risposto in maniera forte ad un evento certo non "ecclesiale". Perché?Il tema di Expo è apparso come provocazione molto significativa per dialogare con tutti. È stata una mobilitazione spontanea, quella delle nostre comunità, che verrà assecondata dal grande gesto in piazza Duomo la sera del 18 maggio: un evento che fra arte, musica, teatro, riflessione – e un tempo di adorazione – ci permetterà di documentare come, nell’Eucaristia, Cristo ci salva rendendosi nostro contemporaneo. Con questa sua totale dedizione Egli ci chiede di essere da noi portato nella vita quotidiana, nella famiglia, nel lavoro, nei quartieri...
Expo porterà da noi milioni di visitatori di altre fedi...Questo fatto potrà aiutare la realtà milanese e italiana in quel lavoro di accoglienza e di equilibrata integrazione di quanti sono venuti tra noi. Sui temi dell’Expo gli uomini delle religioni possono fare molto, nel dialogo come nella collaborazione fattiva che, per alcuni aspetti, è già in atto.
Expo è entrata più volte nelle cronache giudiziarie. Perché l’Italia fa così tanta fatica a trovare anticorpi alla corruzione e al malaffare?Non si può non partire dalla condanna radicale di questo fenomeno, come il Papa fa in termini molto marcati. Io credo sia necessaria un’educazione civica popolare, di base, che si accompagni a leggi e a forme di prevenzione e di pena adeguate.
Eminenza, nell’Expo dell’alimentazione come non chiederle: qual è il suo rapporto col cibo? Le piace cucinare? Ha un piatto preferito?Sono un buongustaio come mio padre e questo causa qualche problema di dieta... Ma il piatto che mangerei almeno una volta all’anno – e cerco di farlo durante l’inverno – è quello popolare lombardo che si chiama
cassoeula. È una vera leccornia. Cucinare? L’ho fatto per molti anni. Quando studiavo e insegnavo a Friburgo, vivevo con gli studenti, ognuno aveva il suo turno. Io facevo assai volentieri il mio. Adesso purtroppo non ho più il tempo di farlo. Riprenderò, forse, quando cesserò di essere l’arcivescovo di Milano.
Entrando in questo enorme cantiere, che sensazione ha avuto? Qui ci sono seimila uomini al lavoro 24 ore su 24, giunti da tutto il mondo...Anzitutto la sensazione che si tratta di un fenomeno tutto italiano. Siamo sempre in ritardo, ma alla fine ce la facciamo. Impressiona l’imponenza dell’impresa. Mi auguro però che emergano i contenuti proposti dal bel titolo. Mi piace molto il padiglione della Santa Sede per la sua sobrietà, l’essenzialità, la forza del suo messaggio. E poi è molto bello che qui lavorino persone di diverse etnie e culture, perché fa parte di quel dinamismo di integrazione così necessario per la nostra città. Expo può essere un segno di quel rinnovamento dell’anima milanese di cui c’è bisogno. Milano è già, di fatto, una metropoli, ma deve prenderne coscienza.
Se potesse accogliere ad uno ad uno i visitatori, cosa direbbe loro?Li accoglierei con un sorriso, la forma di comunicazione più potente che esista tra gli uomini. E poi li ascolterei. Sono convinto che Milano debba imparare da tutti questi visitatori. Solo in un ascolto da cui si lasci veramente fecondare, Milano potrà cavare dall’Expo quella spinta che attendiamo a tutti i livelli, anzitutto dalla bellezza di appartenere tutti a una famiglia umana che è voluta da Dio, è amata da Dio, è tenuta insieme da Dio, e su questa base può vincere anche il male, oggi così potente e violento da sembrare indominabile. Invece è proprio nell’abbraccio e nell’accoglienza che i milanesi – e gli italiani – potranno riconoscere e sperare in un futuro buono se anche ad Expo si potrà sperimentare un’amicizia civica universale.