Non sarà vescovo. Cantalamessa oggi cardinale: «Voglio restare cappuccino»
Padre Raniero Cantalamessa mentre predica. Papa Francesco lo ha voluto cardinale
Il 25 ottobre scorso padre Raniero Cantalamessa mentre papa Francesco lo annoverava tra i nuovi 13 cardinali - che saranno creati oggi nel Concistoro che si svolgerà in San Pietro alle 16 con diretta su TV2000 –, era seduto con il suo tradizionale saio marrone di frate cappuccino ed era intento ad ascoltare, come un qualsiasi fedele, la recita dell’Angelus in televisione in un luogo dell’anima a lui molto caro e in cui ha vissuto tutto questo lungo tempo della pandemia: l’eremo dell’Amore Misericordioso di Cittàducale nel Reatino, alle porte di Roma. Una nomina certamente inaspettata e non preventivata per colui che dal 23 giugno 1980, per volere di Giovanni Paolo II, è il predicatore della Casa pontificia. E pur indossando da oggi la porpora ha chiesto e ottenuto dal Papa la dispensa dall’ordinazione episcopale: «Voglio morire con il mio abito francescano: cosa che difficilmente mi avrebbero permesso se fossi stato vescovo».
Noto volto televisivo della Rai - basti pensare alla trasmissione "A Sua Immagine" - e famoso proprio come il suo illustre confratello fra’ Mariano da Torino per salutare e congedarsi da ogni suo interlocutore con la frase, un vero motto e cifra del suo essere francescano: «Pace e bene!». E che rimarrà predicatore della Casa pontificia finché papa Francesco non lo solleverà da questo prestigioso incarico che dal 1743 con il breve Inclytum Fratrum minorum di Benedetto XIV è assegnato a un religioso dell’Ordine dei frati minori cappuccini. «Per me il cardinalato sarà un altro modo di stare vicino al Papa e sostenerlo con la preghiera e la parola – è la prima confidenza del cappuccino oggi 86enne e originario della Marche –. È scontato dire che è stata una sorpresa perché si sa che questo è il modo di papa Francesco di fare i cardinali».
Padre Raniero Cantalemessa riceve la berretta cardinalizia da papa Francesco - Siciliani
Una scelta quella dell’attuale Pontefice di elevare un membro della Famiglia Pontificia che assomiglia per certi versi a quanto fece Paolo VI nel 1977 e Giovanni Paolo II nel 2003 rispettivamente con i teologi domenicani Mario Luigi Ciappi e Georges Martin Marie Cottier…
Considero la mia nomina come un riconoscimento dell’importanza della Parola di Dio, più che della mia persona, dal momento che il mio servizio alla Chiesa è stato - e, per volere espresso di papa Francesco, continuerà ad essere ancora - quasi solo quello di proclamare la Parola, a partire dalla Casa pontificia. Vivo questa designazione a cardinale come un riconoscimento per il mio servizio alla Chiesa che è consistito unicamente nell’annuncio del Vangelo. La mia nomina simboleggia, in un certo senso, un attestato di quanto papa Bergoglio vuol dare dell’importanza di tenere alta la Parola di Dio nella Chiesa.
C’è una figura in particolare che Le è venuta in mente quando ho sentito il suo nome tra i neo-cardinali all’Angelus?
Una figura che per me ha avuto una grande rilevanza nella mia vita è stato quello di padre Pasquale Rywalski che si trovò ad essere ministro generale di noi cappuccini quando il Signore mi chiamò a lasciare l’insegnamento universitario alla Cattolica di Milano per dedicarmi alla predicazione. Devo a lui e al suo discernimento questa scelta che poi via via mi ha portato a essere predicatore della Casa Pontificia e anche a girare per il mondo e fare gli Esercizi spirituali compresi quelli dell’anno scorso ai vescovi degli Stati Uniti (si era nel pieno degli scandali di pedofilia). Era il mio padre spirituale che in quel momento particolare di svolta della mia vita ha giocato un ruolo particolare.
Un’assegnazione della berretta cardinalizia che non cambierà il suo stile "claustrale" di vita e il suo approccio di predicare ai Papi e alla Curia romana…
Appartenendo alla categoria dei cardinali ultraottantenni, non sono previsti incarichi e compiti particolari. Quindi non dovrò cambiare molto il mio stile di vita. Continuerò a vivere nell’eremo dell’Amore Misericordioso di Cittaducale con alcune monache clarisse cappuccine alle quali faccio, in un certo senso, da cappellano. Ricordo il titolo del libro intervista realizzato per il mio 80° compleanno nel 2014: «Il bambino che portava acqua». Io ho continuato per tutta la vita a fare quello che facevo da bambino quando portavo acqua ai mietitori nel campo dei nonni. È cambiata solo l’acqua che porto - la Parola di Dio - e cambiati i mietitori tra i quali, per 40 anni, ci sono stati tre pazientissimi Pontefici: Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e ora Francesco.
Che ricordi in particolare si porta nel cuore di questi tre Vescovi di Roma?
Sono convinto che c’è più merito ad ascoltare la Parola di Dio che a predicarla, tuttavia ringrazio Dio per avermi concesso il singolare privilegio di poter conoscere da vicino uomini così importanti e così umili come san Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e papa Francesco. In realtà sono stati loro a fare la predica a me e a tutta la Chiesa, trovando il tempo per venire ad ascoltare le parole di un semplice frate della Chiesa. Usando una metafora, senza scadere in semplificazioni che rischiano sempre di essere pericolose descriverei così queste tre figure: Giovanni Paolo II - di cui sono stato predicatore per ben 25 anni dei suoi 27 di pontificato - una personalità gigantesca che ha vissuto tutta la vita al cospetto del mondo e di Dio; Benedetto XVI, una mente eccelsa e al contempo profondamente umile, combinazione rarissima almeno nel grado che si è visto in lui; Francesco, un uomo dello Spirito che non fa cose nuove, ma fa nuove le cose. Il cosmopolita, il teologo, il pastore, se si può racchiudere una vita in una parola.
Eminenza domani incomincerà il tempo dell’Avvento. Nelle prediche che sta preparando alla presenza del Papa, dei cardinali e dei vescovi della Curia Romana quali temi affronterà? E ci sarà spazio per parlare di speranza ai tempi del Coronavirus?
Fin dall’inizio della pandemia, risiedo in un eremo alle porte di Roma. È il luogo dove da anni trascorro la mia vita quando non sono in giro per predicazione. Mi sono sentito un privilegiato rispetto a tantissime persone che, in questi mesi, non hanno avuto che le mura di casa dentro cui muoversi. Ho occupato il mio tempo con la preghiera (meno di quanto dovrei!), con la lettura e con qualche breve passeggiata attorno all’eremo. In un certo senso questa emergenza sanitaria ci ha fatto ripiombare nel clima dell’ultima guerra. Nelle mie prossime prediche di Avvento, nel mio piccolo, vorrei cercare anch’io di riflettere sulla pandemia, ma soltanto come pretesto per sottolineare e mettere al centro alcune verità e realtà spesso sottaciute dalla mentalità corrente la morte, la vita eterna, la presenza di Cristo grazie all’Incarnazione, nella barca di questo nostro mondo spesso in tempesta.