Il teologo. Alla Comunità monastica di Bose non servono i «partiti»
Nelle Comunità ecclesiali di nuova fondazione, il passaggio dal fondatore al primo successore in una posizione di autorità è naturalmente problematico. Vista la storia ancora giovane di queste comunità negli anni attorno al Vaticano II, questo tipo di transizione è uno degli elementi caratteristici del momento presente nella storia della Chiesa cattolica. Non è una questione totalmente nuova: siamo abituati a identificare l’idea di «scisma» nella Chiesa con lo scisma papale, ma la storia abbonda anche di scismi monastici.
La situazione della comunità di Bose però è diversa da quella di altre comunità ecclesiali e degli scismi monastici. È diversa per il ruolo importante che essa ha avuto nella Chiesa italiana ed europea negli ultimi cinquanta anni: l’ecumenismo, la recezione del Concilio Vaticano II, la riscoperta della Parola.
Anche il sottoscritto appartiene alla «generazione Bose» – o meglio, a una delle tre o quattro generazioni di cattolici (e no) che grazie alla comunità fondata da Enzo Bianchi nel 1965 hanno riscoperto la fede cristiana, ma anche una ecclesialità riconciliata. La storia di Bose però è diversa anche per la personalità carismatica del fondatore sulla scena pubblica, diverso da ogni altro fondatore nell’epopea post-conciliare. Si potrebbe fare un parallelo con Thomas Merton: monachesimo, ecumenismo, successo come intellettuale pubblico. Però Merton non fondò una sua comunità e non dovette mai cimentarsi, a causa della morte a soli cinquantatré anni nel 1968, col problema della transizione e gestione della sua eredità spirituale (ma anche materiale).
Chi andava e va a Bose, a contatto con i fratelli e le sorelle, da lungo tempo aveva avuto sentore e prove del deterioramento della situazione comunitaria. Quella scatenata dalle dimissioni di Enzo Bianchi non è la prima crisi nella storia di Bose. Ma negli ultimi anni la situazione si era aggravata per un problema di doppia autorità che si è posto in maniera drammatica, a causa della personalità del fondatore.
Le dimissioni date dal priore Bianchi sono state interpretate dallo stesso in maniera nominalistica, come se non fossero mai avvenute, fino a delegittimare l’autorità non solo del nuovo priore, ma anche di tutte le altre cariche e della comunità stessa che lo aveva eletto. Anche qui, storia nota in molte comunità ecclesiali. La differenza in questo caso è la scelta di fare leva sulla notorietà pubblica del fondatore. Una scelta grave per ogni persona che sia diventata un punto di riferimento ecclesiale – ancora di più se monastico.
Qui ci sono due questioni di fondo. C’è una questione ecclesiale: per una comunità ecclesiale, in una situazione di eccezione, ci sono diversi tipi e gradi di autorità in grado e chiamati a decidere. Nel caso di Bose, non è mai stato in dubbio che l’autorità competente per Enzo Bianchi fosse la Chiesa cattolica e il Papa. Il fondatore è cattolico, così come la stragrande maggioranza dei membri. Il rispetto dell’istituzione non è dovuto in maniera inversamente proporzionale alla notorietà personale. Dissenso è cosa diversa dalla ribellione.
Poi c’è una questione ermeneutica. La divisione nei giudizi resi in pubblico (tanto sui mass media quanto sui social media) sul caso Bose risente anche di due tipi diversi di identificazione.
Ci sono quelli che a Bose ci sono andati, riconoscendo i grandi meriti del fondatore nell’ecumenismo, nell’editoria, nella diffusione della patristica e del cristianesimo orientale, ma conoscono anche i limiti di questa realtà monastica, e sperano e pregano che Bose possa storicizzare il fondatore e riformulare le sue intuizioni.
Poi ci sono quelli che andavano a Bose attratti dalla personalità del fondatore a cui avevano attinto dai mass media. Ci sono qui due concezioni diverse di Chiesa e di comunità. Nessuno può toglie niente al fondatore, ai suoi meriti storici per la comunità che ha creato e per la Chiesa tutta. Il problema è quando si diventa incapaci di distinguere il fondatore dalla comunità, anche di fronte a gravi distorsioni nell’esercizio dell’autorità. Il problema è quando si fa, dall’esterno, della persona del fondatore il simbolo di un partito ecclesiale o politico da agitare contro una serie di bersagli ideologici: il Medioevo, il Vaticano, i vescovi, il monachesimo non abbastanza ecumenico, e così via.
Sembra caduto nel vuoto quello che papa Francesco aveva detto al Sinodo dei vescovi del 2015 circa la necessità di abbandonare le ermeneutiche cospirative: un invito rivolto non solo al Sinodo. Dalla otto-novecentesca ermeneutica del sospetto ora la Chiesa deve fare i conti con una ermeneutica della diffidenza che è diventata dominante - ed evidentemente non solo tra i cosiddetti tradizionalisti che si oppongono a papa Francesco. In questo clima ecclesiale troveranno sempre applausi le prese di posizione contro il Vaticano, contro l’istituzione ecclesiastica.
Il problema è quando si diventa incapaci di distinguere il fondatore dalla Comunità,
Enzo Bianchi è stato per me maestro di ecclesialità e stupisce che attorno a lui si sia radunata la fronda del risentimento anti-istituzionale che vede dappertutto complotti orditi a danno del vero cristianesimo. È una falsa ecumenicità quella che si basa su una presa di distanza dal cattolicesimo costruita sul risentimento.
Il monachesimo ha anche un aspetto istituzionale. La regola è istituzione che aiuta a darsi una forma di vita, in una concezione di autorità che libera, in cui il carisma non è fine, ma strumento al servizio della comunità e della Chiesa tutta.
È evidente che a Bose negli ultimi anni l’esercizio istituzionale dell’autorità del fondatore aveva assunto aspetti fortemente problematici. La visita apostolica e il provvedimento erano l’opportunità per ripartire - anche per il fondatore. La fase di stallo attuale troverà una via di soluzione, a un certo momento. Ma il caso di Bose attende soluzioni anche a livello diffuso. La divisione in «partiti» attorno al caso di Bose dice molto di questo momento ecclesiale.
Massimo Faggioli è Storico della Teologia alla Villanova University, Stati Uniti
Il caso Bose
Il caso Bose è esploso alla fine del 2019, con la visita apostolica - sollecitata dalla stessa comunità - che si è svolta tra il 6 dicembre di quell’anno e il 6 gennaio 2020. La delegazione era composta da tre visitatori – l’abate Guillermo Leon Arboleda Tamayo, M.Anne Emmanuelle Devéche, abbadessa di Blauvac e padre Amedeo Cencini – che hanno ascoltato a lungo il fondatore, il nuovo priore Luciano Manicardi e tutti i membri della comunità, raccogliendo le loro opinioni su quanto capitato.
Alla luce di quanto raccolto, il 13 maggio scorso è stato emanato il “decreto singolare” firmato dal segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, «approvato in forma specifica» da papa Francesco – quindi non è appellabile – che ha disposto per Enzo Bianchi il ritiro dalla comunità entro e non oltre dieci giorni dalla notifica (avvenuta il 21 maggio).
Dopo quasi 9 mesi, di fronte a un nulla di fatto, il 4 gennaio è arrivata l’ingiunzione del delegato pontificio per il trasferimento di Bianchi a Cellole San Gimignano entro il 16 febbraio. Provvedimento che Bianchi ha scelto di non osservare. Il braccio di ferro continua.
I numeri
1965 - L’anno di fondazione della comunità di Bose. Nel 1968 ci furono i primi ingressi
6 - Le sedi: Bose, Ostuni, Assisi, Cellole-San Gimignano, Civitella San Paolo, Gerusalemme