Intervista. Benedetto XVI, Miano (Ac): «La notte in cui "anticipò" le sue dimissioni»
Franco Miano
«Ha amato profondamente e completamente la Chiesa. Nelle sue parole, specie nei mesi che hanno preceduto le dimissioni, si coglieva la sua tribolazione, la preoccupazione che la Chiesa fosse sempre fedele a Gesù e al Vangelo. Nel gesto delle dimissioni, questo amore per la Chiesa è diventato testimonianza di vita per tutti: non conta la nostra persona, la nostra visibilità, conta solo il bene della Chiesa». Franco Miano, ex presidente nazionale di Azione cattolica, ha prestato il suo servizio negli anni che furono il cuore del pontificato di papa Benedetto XVI. Molti i ricordi, ma Miano parte dalla notte dell’11 ottobre 2012, cinquantesimo anniversario del Concilio Vaticano II. L’Ac organizzò una fiaccolata in ricordo di quella, storica, di cinquant’anni prima. E Benedetto XVI, come il suo predecessore Giovanni XXIII, portò il suo saluto dalla finestra del Palazzo apostolico.
Perché quel momento le è rimasto impresso?
Era una notte di festa, e Benedetto XVIsi unì al clima di gioia dei partecipanti con la consueta cordialità e discrezione. Tuttavia, rileggendo in seguito le sue parole, vi ho ritrovato, nei fatti, l’anticipazione di quello che sarebbe accaduto pochi mesi dopo con le dimissioni. Il papa ci invitò ad una «gioia sobria, umile», perché era un momento in cui, cito a memoria, «il peccato originale si traduce in peccati personali, che possono anche divenire strutture del peccato». Fece riferimento alla «zizzania» nel campo del Signore e a «pesci cattivi» che possono trovarsi nella «rete di Pietro». Parlò di una Chiesa che «sta navigando anche con vento contrario, con tempeste che minacciano la nave». Rimanemmo certamente impressionati. Solo dopo abbiamo capito.
I momenti di incontro personali e “istituzionali” sono stati molti. C’è un filo rosso che li unisce?
Sicuramente l’attenzione educativa. Nel suo stile, nel suo registro, papa Benedetto XVI amava molto i giovani e i ragazzi e aveva molto a cuore i formatori.
In un importante raduno del 2010 in piazza San Pietro accettò anche un’interlocuzione diretta con adolescenti e ragazzi...
È uno dei ricordi più belli, forse il più bello in assoluto. C’erano 100mila bambini, ragazzi, adolescenti e il papa rispose alle loro domande con una semplicità disarmante. Propose loro verità profonde ma con un linguaggio accessibile e un sorriso indimenticabile. Ci sembrò felice di incontrare quella parte del popolo di Dio che probabilmente ascoltiamo di meno.
Cosa raccomandava agli educatori?
Di non diventare padroni dei ragazzi. Di avere a cuore la loro libertà. Di non aver paura di fare proposte di vita esigenti, ma sempre con dolcezza e senso dell’accoglienza. Raccomandava sempre, poi, di fare rete con le famiglie e con la scuola, di non sentirsi eroi individuali e salvatori del mondo. Penso che questa lezione sia rimasta a una generazione di formatori ed educatori. D’altra parte papa Benedetto XVI ha messo al centro del suo magistero la trasmissione della fede in tempi complessi. E questa sua attenzione guardava alle nuove generazioni più di quanto si è soliti pensare.
Nella stagione di Benedetto XVI, quale è stato il ruolo dei laici?
Negli incontri personali ho avuto sempre la percezione di un ascolto vero e sincero, attento, curioso, oltre che cordiale. Ma fa fede, più della mia esperienza personale, soprattutto ciò che papa Benedetto ha scritto sul laicato, che è molto impegnativo. Ricordo che in un’assemblea del Forum internazionale di Azione cattolica, che si tenne in Romania, fece arrivare un messaggio molto corposo e chiaro sull’atteggiamento della Chiesa verso i laici. Il papa ci disse che è necessario un «cambiamento di mentalità» nella Chiesa perché i laici non vengano più considerati «collaboratori del clero», ma come persone realmente «corresponsabili dell’essere e dell’agire della Chiesa». Penso che questa sia una sfida ancora aperta.