Chiesa

Africa. Beati tre saveriani e un prete congolese. Uccisi perché dalla parte dei deboli

Laura Caffagnini sabato 17 agosto 2024

I quattro nuovi martiri padre Vittorio Faccin, padre Luigi Carrara, padre Giovanni Didonè, abbè Albert Joubert

Saranno beatificati domani, domenica 18 agosto, i quattro religiosi trucidati il 28 novembre 1964 nelle missioni di Baraka e di Fisi nella Repubblica democratica del Congo. Tre di loro, trentenni - Luigi Carrara, bergamasco, Giovanni Didonè e Vittorio Faccin vicentini -, erano missionari saveriani; uno, l’abbè Albert Joubert, 57 anni, franco-congolese, era presbitero diocesano.

Il libro di Lisa Zuccarini Benedetti ragazzi. Vita e pensieri dei beati Carrara, Faccin, Didonè e Joubert, martiri in Congo, ricostruisce il contesto e le circostanze in cui avvennero i fatti e, attraverso materiali dell’archivio saveriano, racconta la vita e la morte dei quattro martiri. Dalla narrazione emerge che la loro uccisione è stata l’apice di vari azioni persecutorie, tra le quali momenti di detenzione.

All’acuirsi della guerra civile seguita all’assassinio del primo ministro congolese Patrice Lumumba nel 1960, mentre erano avvenute persecuzioni e uccisioni di religiose e religiosi, i tre saveriani e il prete diocesano avevano continuato la loro opera pastorale e sociale accanto alla popolazione: Carrara e Faccin a Baraka, sulla riva occidentale del lago Tanganika, Didonè e Joubert a Fizi, un villaggio ad alta quota verso l’interno.

Faccin si occupava della gestione delle parrocchie e dell’acquedotto. Riparava con maestria auto e piroghe. Seguiva gli scout e i giovani di un movimento cattolico, e animava le corali. Carrara faceva il prete a tempo pieno celebrando Messe e amministrando i Sacramenti. Era in chiesa a confessare quando sentì lo sparo contro il suo confratello. Uscito con ancora sulle spalle la stola, fu ucciso dopo che si era inginocchiato accanto a Faccin morente. Padre Giovanni, primo parroco di Fisi, aveva vissuto un periodo con madre Celestina Bottego, la fondatrice delle Missionarie di Maria-saveriane. È considerato l’antenato della cristianità di Fisi. L’abbè Albert, già responsabile di diverse parrocchie, l’ultima Kibanga, era stato sequestrato da un gruppo di mulelisti (seguaci del rivoluzionario congolese Pierre Mulele), imprigionato e poi liberato a Fisi. Poiché padre Giovanni era solo rimase accanto a lui. Un uomo molto cortese, impegnato nell’educazione, sempre con la talare. È ricordato come uomo gioviale. Suonava la fisarmonica e la chitarra.

Per il postulatore padre Faustino Turco, subentrato nell’incarico a padre Guglielmo Camera che istruì il processo nel 2016, la beatificazione «è una notizia che ci riempie il cuore, è un momento di grazia. Dopo la promulgazione del decreto, avvenuta il 14 dicembre scorso, sono stati fatti dei passi soprattutto con il Dicastero delle cause dei santi, per stabilire la data della beatificazione, la liturgia, l’animazione nelle diocesi di origine e il viaggio dei pellegrini che parteciperanno alla celebrazione».

Il rito della beatificazione avverrà nella città di Uvira, sede della diocesi fondata ufficialmente dal vescovo saveriano Danilo Catarzi. Quest’anno ricorrono i vent’anni dalla sua morte e i sessant’anni dalla morte dei quattro venerabili. «Da Vicenza, Padova e Bergamo è giunta una trentina di pellegrini, assieme al vescovo di Vicenza Giuliano Brugnotto, al vescovo saveriano Natale Paganelli e al sindaco di Cornale di Pradalunga (Bergamo). Una presenza che dimostra che i missionari assassinati sono figli di una società che li ha formati, come testimoniano le loro lettere ad amici e parenti».

Padre Turco distingue due tipi di martirio. «C’è un martirio in senso stretto che avvenne per le mani dello stesso gruppo mulelista di Abedi Masanga formato da ribelli che si erano radicalizzati. Anche il modo in cui i corpi dei missionari sono stati profanati mostra il risentimento degli uccisori. Ma non tutti i ribelli erano così: c’era anche chi amava i saveriani perché riconosceva l’aiuto che offrivano alla popolazione».

Il martirio in senso largo «era presente dall’inizio della loro vocazione missionaria: era il darsi totalmente. Per il nostro fondatore monsignor Guido Maria Conforti, oggi santo, l’espressione massima della consacrazione missionaria è morire per la causa del Vangelo. E questi giovani si erano formati al dono totale».

Si è arrivati ad aprire la causa di beatificazione perché localmente i saveriani hanno notato una fama di santità molto forte, conclude padre Turco. «La gente si faceva battezzare sul luogo dove sono stati uccisi. In questi anni abbiamo potuto parlato con diversi testimoni. Una signora, oggi anziana, nuora del capitano che aveva accolto a casa sua due dei missionari per difenderli, ha conservato per cinquant’anni una tazzina di caffè usata da fratel Vittorio e attraverso un viaggio impervio nella foresta è venuta a consegnarcela».