La vita in parrocchia. «Come sopravvivere alla Chiesa cattolica e non perdere la fede»
Il titolo, per quanto corretto ed efficace, non deve trarre in inganno. “Come sopravvivere alla Chiesa cattolica e non perdere la fede” (Bompiani, pagine 112, 12 euro), non è un attacco livoroso contro l’istituzione ecclesiastica. Neanche un manifesto rivoluzionario o un invito alle armi contro chi vuole bloccare il cambiamento, la cosiddetta riforma, che se nelle “alte sfere” fatica a farsi largo, nei piani più bassi rischia di restare lettera morta o quasi.
Il pamphlet di Alberto Porro è piuttosto un invito all’impegno, una presa di coscienza a volte amara, più spesso ironica, sulla vita delle nostre parrocchie, raccontata da chi la frequenta e prova a migliorarla. Nel senso e sulle orme del Concilio Vaticano II e del suo richiamo a un ruolo nuovo, più da protagonisti, dei laici. Il tema guida, la parola chiave, è “comunità”, quella fatta di persone vere, reali, con le loro domande e aspettative, non certo l’involucro vuoto citato in tante omelie e, qualche volta, anche nei documenti. Nella sua riflessione, l’autore, che con la moglie e i cinque figli vive in una comunità di famiglie per l’accoglienza alle porte di Milano, parte da alcune domande che un po’ tutti almeno una volta si sono fatti: perché tante, troppe nostre Messe risultano noiose e così poco affascinanti da mettere in fuga la maggioranza dei ragazzi? Come rendere un po’ più utili i corsi di preparazione al matrimonio?
A cosa serve avere una Bibbia nella libreria di casa se non la si legge mai? Dubbi che Porro, senza la pretesa di offrire ricette miracolose, affronta in modo leggero, confezionando un manualetto di consigli pratici, da adattare alle singole situazioni e circostanze. Così per ogni “problema” di ordinaria vita parrocchiale, dopo una semplice esposizione del caso, si elencano i possibili “pericoli” legati a un suo approccio sbagliato. Per poi indicare un modus, meglio una “tattica” con cui provare a trasformare un intoppo, una difficoltà in strumento e opportunità di vita nuova. Più ricca e utile perché condivisa. Con un po’ di impegno ad esempio il segno della pace, spesso dato con mano molle e sguardo distante, diventa un’occasione per conoscersi superando timidezze e ritrosie: come si chiama signora? Che lavoro fa? Al tempo stesso partecipare al corso fidanzati può essere un ottimo modo per avvicinare altre coppie con cui confrontarsi e crescere insieme.
Perché la parrocchia, osserva Porro, qua e là anche con toni esageratemente negativi verso i “don”, non è proprietà privata del sacerdote che ne è guida pastorale ma, o almeno dovrebbe essere, un ambiente di vita dove anche il laico ha una parte importante da svolgere. Si tratta quindi di mettere via timidezze e paure per spendersi in prima persona, facendo domande quando si hanno dubbi, proponendo soluzioni se esistono le competenze giuste, arrabbiandosi il necessario, ma anche sorridendo e scherzando appena si può. Proprio come accade tra persone che si vogliono bene e che cercano di seguire insieme una Parola che vuole ogni uomo e ogni donna riusciti, felici, gioiosi.
D’altronde cos’altro dovrebbe essere una comunità se non una grande famiglia, un insieme di persone che cercano di aiutarsi e di crescere insieme? Se così non è, lamentarsi non basta. Occorre partire e impegnarsi – osserva Porro –, «provare a fare qualcosa di nuovo, di diverso». Allora, vedrete, «qualcosa succederà».