I vescovi. Bassetti: Pasqua ridotta e di sofferenza. Le omelie delle Palme
Il cardinale Bassetti celebra la Domenica delle Palme nella Cattedrale di Perugia deserta
È deserta la Cattedrale di Perugia. Il cardinale Gualtiero Bassetti ha lo sguardo serio mentre si avvicina al pulpito durante la Messa della Domenica delle Palme. «Purtroppo, fratelli miei, in duemila anni di cristianesimo è la prima volta che celebriamo la Pasqua in una maniera così ridotta. E questo, credetemi, è una grande sofferenza per tutti voi, ma anche per noi sacerdoti e vescovo, vostri pastori». Sa, il presidente della Cei, che questa Settimana Santa e l’imminente solennità della Risurrezione saranno velati da una certa tristezza per la pandemia da coronavirus che ha fermato l’Italia, che tiene chiuse in casa le famiglie, che non permette di celebrare le liturgie in forma pubblica. Sono la tv, la radio e il web che fanno entrare nelle abitazioni le Messe. Anche quella di Bassetti presieduta stamani davanti ai microfoni di Umbria Radio Inblu e alle telecamere dei media e dei social network diocesani.
Il cardinale Bassetti celebra la Domenica delle Palme nella Cattedrale di Perugia deserta - Arcidiocesi di Perugia
La processione con gli ulivi è minima: dal fondo della Cattedrale all’altare. L’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve benedice i ramoscelli e fa arrivare la benedizione anche nelle case attraverso i mezzi di comunicazione. A Perugia, ieri sabato, in tanti hanno provato a cercare un ramo d’ulivo per averlo fra le mani oggi. Eppure Bassetti invita a provare a vedere la luce oltre il tunnel del virus. «Cercate di ritrovare anche voi, pur restando nelle vostre case, il gusto dello stupore, della bellezza della nostra fede e la gioia di seguire Gesù che ci precede portando la sua croce», dice nell’omelia. E suggerisce: «Non vergogniamoci mai della nostra fede e dei riti così belli della nostra religione». Benché non manchino le difficoltà. Il cardinale parla di «fede semplice» che in questo periodo così complesso torna a emergere. E chiede di dimostrare «la nostra fedeltà e la nostra coerenza a vivere il Vangelo» anche nella prova. Perché, aggiunge, «questo è l'unico modo per potere con Lui risorgere nella Pasqua».
Nella settimana che è il cuore dell’Anno liturgico Bassetti indica ciò che tutti possono fare: «Affidiamoci anche in questa terribile calamità, al nostro Padre misericordioso, a Gesù fratello nostro, alla sua grazia, alla sua parola, alla preghiera». E si rivolge ai ragazzi nella domenica in cui la Chiesa celebra da 35 anni la Giornata mondiale della gioventù: «Cari giovani, forse in questo tempo siamo più portati a rientrare in noi stessi e a dialogare con chi ci sta vicino. Mi auguro che ciascuno di voi ritrovi nella sua famiglia quella piccola chiesa domestica che gli possa essere d'aiuto». Poi il cardinale indirizza un particolare saluto agli universitari fuorisede che non possono rientrare nelle loro terre d’origini per le restrizioni agli spostamenti imposte dal Governo: a loro va il «caro» pensiero del presidente della Cei perché «sono lontani dal calore delle famiglie». Ai ragazzi Bassetti indica la supplica di Gesù: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. «In quel grido – afferma – ci sono i drammi di tutta l'umanità, i nostri peccati, ci sono le nostre incoerenze, ci sono le nostre paure e, perché no, anche tutti i drammi». Quindi lo sprone: «Vivete la vostra vita con una passione forte e con tanta generosità. Coltivate le amicizie, incontrate la gente. Il mondo ha bisogno di voi giovani per cambiare; la società ha bisogno di giovani forti, abbiate voi in nome del Vangelo il coraggio di diventare anche coscienza critica per tanti sbagli che si compiono nella società». E la citazione del vescovo "degli ultimi" don Tonino Bello definito dal cardinale un grande maestro dei giovani: «Non siete inutili: siete irripetibili».
Bagnasco: è finita l’illusione di essere invincibili
Sull’altare della Cattedrale di Genova ha voluto che ci fossero le ceneri del patrono san Giovanni Battista, per «invocare la sua intercessione presso il cuore di Cristo», spiega. E al termine della Messa offre a Maria Regina di Genova il mazzo di ulivo benedetto insieme ai rami che si sono procurate le famiglie chiuse nelle proprie abitazioni. Il cardinale arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco, parla di «una Settimana Santa speciale, ferita da un morbo che dilaga per il mondo, quasi una voce sinistra che semina smarrimento, piega la presunzione, riconduce alla realtà dell'umana condizione e del significato della vita».
Lo fa in una Cattedrale deserta dove presiede la Messa della Domenica delle Palme senza la presenza dei fedeli. «L'illusione di essere invincibili è brutalmente infranta, ritorna il senso della misura e del limite – sottolinea nell’omelia –. È come riaprire gli occhi alla verità». Ma, aggiunge, «Gesù, in ogni situazione, non solo condivide ma porta a Dio, ci dona la vita soprannaturale, è un nuovo inizio».
Commentando l’ingresso trionfante di Cristo a Gerusalemme, il cardinale Bagnasco spiega che il brano del Vangelo «ci ricorda innanzitutto la volubilità del cuore umano, pervaso da simpatie ed emozioni che non aiutano a cercare la verità, ma spingono a seguire il sentimento». Nell’uomo, avverte il porporato, si intrecciano « la luce e il buio, l'invocazione e la pretesa, il pensare secondo Dio e il pensare secondo gli uomini». E nella folla acclamante lungo le strade della città santa «il cuore non puntava alla verità di Gesù, ma alla convenienza: quell'uomo prodigioso avrebbe risolto i loro problemi».
Però, chiarisce Bagnasco, «la fede non è questa». Infatti essa, prosegue, «non giustifica ogni singola gioia o dolore che ci capita, ma è una luce che illumina tutto il percorso della strada; non ci spiega ogni singolo passo, ma dà il senso del nostro andare dalla terra al cielo». Per la Settimana Santa l’arcivescovo di Genova dà alcuni consigli: «Intensifichiamo la preghiera personale e in famiglia. Dalle vostre case, insieme alla liturgia della Chiesa, unite al Sacrificio di Gesù i vostri sacrifici, le limitazioni che tutti abbiamo, i timori: e non venga meno la carità. Preghiamo per la città, la diocesi, i malati; preghiamo per quanti si curano degli altri in prima linea; preghiamo per i defunti». (Giacomo Gambassi)
Delpini: desiderio di speranza
"Siamo alleati in questo momento di emergenza, in questo desiderio di speranza". Lo ha detto l'arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, durante la Messa della Domenica della Palme, celebrata nel Duomo di Milano senza fedeli. Secondo l'arcivescovo, "siamo insieme nell'offrire forme di solidarietà alla popolazione" non solo la Chiesa Cattolica e i cristiani ma anche anche "la comunità ebraica e tutte le altre comunità religiose" per alimentare la "spiritualità che è necessario come lo sono i gesti concreti delle cure per i malati, la pietà per i i morti e la solidarietà per i bisognosi", ha aggiunto Delpini, che dopo la celebrazione ha regalato a sindaco, presidente e prefetto una colomba, simbolico dono a tutta la città. "Anche la semplicità di chi non può fare niente e si limita a irradiare la gioia versa il puro nardo di grande valore. Anche il tempo dedicato a preparare il futuro nella
frenesia del pronto soccorso nulla sottrae ai poveri e invece versa il puro Nardi di grande valore", aveva detto poco prima monsignor Delpini.
Betori: la nostra Pasqua come partecipazione ai dolori del mondo
Il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, ha celebrato nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore. Ai fedeli raccolti nelle proprie case ha proposto di lasciarci interrogare "su come l’identità di Gesù non venga ferita dal capovolgimento del sentire degli uomini verso di lui, ma, al contrario, proprio in esso emerga nella sua piena verità. Il Messia acclamato, proprio nella Passione che rivela il suo vero volto, quello di un Servo umile". Il potere di Dio "è quello dell’amore e la sua signoria sul mondo si realizza nella condivisione e nel servizio". Un percorso, argomenta il cardinale, che in modo è chiesto a noi in questi giorni.
"La nostra fede non può essere proclamata e celebrata nella partecipazione ai riti liturgici. Ma proprio la rinuncia che ci è chiesta – vivere cioè giorni di povertà del volto ecclesiale, la sofferenza di non poter fare assemblea – ci deve far sentire più vicini al Signore umiliato, sofferente, solo. È altresì un invito a riconoscere il volto di Gesù in tutti i sofferenti di questi giorni amari, come pure in tutti coloro che si fanno carico del loro dolore e se ne prendono cura. Il volto di Gesù è oggi il volto stravolto dei nostri malati in cerca di respiro e il volto segnato dalla fatica di medici, infermieri, personale ausiliario, volontari".
La nostra Pasqua, ha proseguito Betori, "sia vissuta come partecipazione al dolore del mondo, come contributo, nelle rinunce che ci sono chieste, al farsi carico dei fratelli e delle sorelle che soffrono, come legame del cuore tra i figli di Dio che insieme contemplano il volto del Crocifisso e dei crocifissi di oggi, tra noi e nel mondo, nella pandemia e nelle immense sofferenze di guerre, fame,sfruttamento dei poveri, violazioni della dignità umana.Così ci ha fatto pregare la liturgia: «Dio onnipotente ed eterno. Che hai dato come modello agli uomini il Cristo tuo Figlio, nostro Salvatore, fatto uomo e umiliato fino alla morte di croce, fa’ che abbiamo sempre presente il grande insegnamento della sua passione, per partecipare alla gloria della risurrezione».
Zuppi: preghiera e servizio vincono
Il cardinale di Bologna Matteo Zuppi nella sua omelia ha sottolineato come tutto sia grazia, anche in questo tempo di isolamento e di dolore. Abbiamo visto la grandezza di chi difende la fragilità della vita. "Preghiera e servizio vincono". E poi: lasciamo entrare Gesù "nella terra buona del nostro giardino perché dia frutti. Lui viene: nessuno è solo e nessuno si senta dimenticato, soprattutto chi è isolato o ammalato". Prepariamo già da oggi - continua l'arcivescovo di Bologna - nei piccoli gesti un tempo migliore e seguiamo in questi giorni il Signore, leggendo la sua passione e chiedendoci dove siamo noi. Il ramo di ulivo o di qualsiasi arbusto significa anche che tutto può diventare segno di accoglienza e di protezione, ognuno il suo, come può. Siamo noi stessi rami che accolgono e seguono Gesù, vero Re, mite e umile, che ama fino alla fine.Diventiamo noi segni di pace e di amore con la nostra vita, debole com’è,grande se umile e grande nei gesti piccoli di servizio al prossimo, essendo suoi, cristiani, amati da un uomo così che “davvero è Figlio di Dio”.
Beschi: niente sarà come prima se crederemo nella poteza dell'amore crocifisso
Il vescovo di Bergamo, Francesco Beschi, ha celebrato questa mattina a porte chiuse, nella cattedrale di Città Alta, la Messa della Domenica delle Palme e nell'omelia ha voluto parlare della solitudine "caratteristica dell'inizio di questa settimana santa. Solo è Gesù nel suo percorso verso la crocefissione". Beschi interviene sulla paura dell'abbandono. "Abbiamo paura di rimanere soli, essere considerati uno come tanti - spiega - a quanti in questi giorni hanno avuto paura della solitudine e dell'abbandono. Io penso
agli occhi dei malati alla ricerca di uno sguardo". Poi sulla pandemia: "Niente sarà più come prima se crederemo nella potenza di questo amore crocefisso che non ci abbandona e diventeremo i testimoni di questo dono, di questo prenderci cura gli uni degli altri, di questo rimanere lì dove gli uomini e le donne sono crocefissi, allora veramente niente sarà come prima".
Caiazzo: Quest'anno è Gesù che viene nelle nostre case
“L’inizio di questa Settimana Santa è segnata da una certezza: non siamo noi che veniamo in chiesa per celebrare la Pasqua, ma è Gesù che viene nelle nostre case. Così ha detto nell’omelia della Messa delle Palme, l’arcivescovo di Matera-Irsina, Antonio Giuseppe Caiazzo. "Da questo capiamo che celebrare la Pasqua non significa solo ricevere la Comunione, ma viverla. Significa condividere lo stesso pane e guardare ai bisogni e alle necessità degli altri". L’arcivescovo ha istituito un parallelo tra la Passione e quanto sta accadendo. “Penso in questo momento ai medici e i paramedici, che non trovano nemmeno il tempo per dormire pur di sostenere e accompagnare i tantissimi che muoiono crocifissi su uno dei tanti letti posti negli ospedali. Quando addirittura loro stessi rimangono crocifissi, donando la loro vita. Questo è il momento della condivisione del dolore che va servito”. “Guai a noi se quanto stiamo vivendo, una volta che tutto sarà finito, dovesse cadere nel dimenticatoio. Se i sacrifici che stiamo facendo, compresa la rinuncia forzata alla partecipazione alla vita sacramentale, non si trasformeranno in aurora di risurrezione: nuovo modo di rapportarci con la vita, con la storia, con gli altri, con le cose, con gli affetti, con le scelte che siamo chiamati a fare. Già oggi, da qui, bisogna ripartire con la consapevolezza che il futuro è già in atto, che dopo tre giorni Cristo ha distrutto la morte”.