Il monito. Bassetti: la vocazione è dono. Al centro non ci sia l’«io»
Un'immagine dell'intervento del cardinale Bassetti al Convegno nazionale vocazioni 2022
Scherza con quell'ironia tutta toscana. «Dopo aver finito le elementari mio babbo aveva deciso che io andassi a bottega per imparare a riparare le biciclette. Il buon Dio ha voluto che la bicicletta fosse un’altra: è quella su cui pedalo da 55 anni...». Ossia da quando Gualtiero Bassetti è prete. «Il Signore mi ha dato il fiato. E finché vorrà, continuerò a pedalare», racconta il cardinale presidente della Cei. Una pausa. «Un anno fa pensavo che Lui mi chiamasse a incontrarlo ma alla fine sono stato scartato e resto ancora in questo mondo a pedalare», scherza l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve accennando alla grave malattia causata dal Covid che lo aveva costretto – nel novembre 2020 – a tre settimane di terapia intensiva rischiando la vita.
Parla di vocazioni il presidente della Cei. Delle «centomila vocazioni che Dio ci regala», dice. E aggiunge: «È una carta che va giocata nell'avventura dell’amore». Perché «la vita è meravigliosa», ma ne va fatta «un’occasione di dono agli altri». Più che una lezione, quella di Bassetti è una testimonianza diretta, senza neppure un testo scritto, che propone in un video-intervento (disponibile anche sul sito della rivista Vocazioni) a conclusione del 45° Convegno nazionale vocazioni che si chiuso ieri e che si è svolto online. Un appuntamento promosso dall’Ufficio diretto da don Michele Gianola, sottosegretario della Cei, sul tema “Fare la storia”, lo stesso che fa da filo conduttore al percorso annuale.
Si sofferma sulla chiamata al sacerdozio, il cardinale. Ma non solo. Lui che ha accompagnato all'ordinazione presbiterale 107 giovani negli anni in cui è stato rettore del Seminario di Firenze. «Non ho trovato una vocazione uguale all'altra – afferma davanti alle telecamere –. La vocazione è come la persona: unica e irripetibile. Dio ama la diversità, non omologa. L’importante è che chi risponde si senta parte di un tutto». La sua esperienza gli fa lanciare un avvertimento: «Se qualcuno ha una visione intimistica della vocazione, ne farà sempre un elemento personale. Sarà un'autorealizzazione di sé; però non coinciderà con il progetto di Dio. Il Signore chiama a essere membra di uno stesso corpo che è la Chiesa, dove ciascuno ha una missione che va vissuta nella consapevolezza di servire insieme con generosità. “Realizzarsi” non è un verbo evangelico».
E ogni chiamata ha bisogno di testimoni. Il presidente cita, a titolo di esempio, alcuni di quelli che hanno influito su di lui: da seminarista e da sacerdote. Testimoni che sono stati ministri ordinati ma anche laici e che «hanno risposto fino in fondo alla loro vocazione». Bassetti racconta del mistico don Divo Barsotti. «Bastava vederlo e ti annunciava con la vita e le parole l’assoluto», sottolinea. E ripercorre una settimana di esercizi spirituali in Seminario da lui predicata. «Aveva scelto di parlare di Dio. E, mentre ce lo spiegava, sembrava che ne contemplasse il volto». Poi il presidente della Cei ricorda don Giulio Facibeni, fondatore dell’Opera della Divina Provvidenza Madonnina del Grappa. «Ci faceva i ritiri quando ero seminarista. Aveva raccolto gli orfani delle due guerre mondiali: 1.550 in tutto. Viveva solo di Provvidenza. E ci ripeteva: “Il pane per sfamare questi figli lo manda il cielo e io ne ho le prove. Ma sapeste come fa tribolare la Provvidenza”. Perché Dio non elargisce quanto desideriamo così, ma ce lo fa conquistare con la fede, con l’amore, con la sofferenza, con la croce. E, come osservava don Tonino Bello, le braccia della croce sono due ali che portavano verso l’alto».
Bassetti presenta anche una vocazione “altra”, alla politica: tema caro al presidente della Cei. È quella di Giorgio La Pira, il padre costituente, il parlamentare Dc, il sindaco “santo” di Firenze. «Quando al cardinale Elia Dalla Costa, ormai anziano, chiesero chi fosse per lui La Pira, rispose: è un uomo che è completamente assimilato al Vangelo», riferisce il presidente della Cei. E prosegue: «La Pira era un mistico ma non ha mai pensato né di fare il monaco né di diventare prete. Perché sapeva di essere chiamato a incarnare il Vangelo nell'impegno politico. E aveva compreso che la città di Dio e quella dell’uomo sono destinate a incontrarsi».