La decisione. Bartolo Longo, il fondatore del santuario di Pompei sarà santo

Bartolo Longo
Ieri papa Francesco ha ricevuto al Policlinico Gemelli, dov’è ricoverato da giorni, il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin con il sostituto arcivescovo Edgar Peña Parra e autorizzato il Dicastero delle cause dei santi a firmare il decreto che riconosce la santità di Bartolo Longo. Via libera anche alla canonizzazione del “medico dei poveri”, il beato venezuelano José Gregorio Hernández Cisneros. Riconosciuto venerabile secondo la nuova fattispecie di "offerta per la vita" invece Salvo D’Acquisto, il carabiniere che, appunto, offrì la propria vita per salvare un gruppo di persone da una rappresaglia nazista. Assieme a lui, con la stessa motivazione il sacerdote diocesano statunitense, Emil Joseph Kapuan (1916-1951), cappellano dell'esercito americano morto in un campo di prigionia della Corea del Nord.
Erano oltre trecento, negli archivi della Curia arcivescovile di Napoli, a fine Ottocento, le pratiche di processi di venerabili in attesa di diventare beati. Un numero superiore a quello di tutta la Francia. Come per un naturale contrasto a una diffusissima e drammatica criticità ambientale, il territorio napoletano, in quei tempi, era percorso quasi a ogni passo da impensabili vie della santità. Commentando la vita di padre Ludovico da Casoria - il “San Francesco dei nostri tempi” - Bartolo Longo non esitò a parlare di una “Napoli fortunatissima” aggiungendo che “nel suo seno, in quei torbidi tempi di rivolgimenti politici, aveva formato tanti santi da renderla privilegiata tra tutte le città italiane, e più ancora tra le nazion straniere.”
In quella schiera di santi c’è ora posto anche per lui, il giovane avvocato di Latiano inviato, nella prima uscita fuori dalla sua regione, la Puglia, ad amministrare terre con scarsa rendita e grande abbondanza di problemi: la miseria innanzitutto con le primordiali condizioni di vita a mantenere perennemente accesi i focolai della violenza senza freni, non priva di episodi estremi ed efferati. Ma la santità non attecchisce in un giardino di rose e, del resto, neppure il primo tratto esistenziale di Bartolo Longo era stato privo di intoppi, fino al punto da lasciarsi attrarre dallo spiritismo. La svolta, tuttavia, era in agguato.
Le modalità con cui si manifestò sono ancora il punto centrale di una storia interamente scritta con l’inchiostro della Provvidenza. Quell’incontro, in una mattina di fine ottobre del 1872, si sprigionò dalla potenza di un attimo. Fu egli stesso a raccontarlo come il momento fondativo di tutto, mentre si aggirava verso l’Arpaia, la zona più selvatica della desolata Valle di Pompei. A un tratto, gli sembrò di ascoltare una voce: “Se cerchi salvezza propaga il Rosario. È promessa di Maria. Chi propaga il Rosario è salvo!”
“L’Anno giubilare longhiano”, indetto dalla diocesi, ha fatto memoria dei 150 anni di quell’incontro. È stato rievocato, come centrale, il momento dell’illuminazione interiore, l’attimo che aprì al beato la strada alla realizzazione di un progetto che non aveva ancora tutto in mente, ma che tuttavia, sospinto da impegno e zelo, si delineava giorno per giorno in maniera sempre più chiara.
C’era sullo sfondo non più la Valle, terra senza futuro e senza nome, ma la “Nuova Pompei”, una comunità che, sotto i suoi occhi, si plasmava giorno per giorno diventando, in sostanza, il più vitale dei parametri per misurare quanto lontano, sul terreno concreto, avesse portato un’ispirazione di fede: quell’illuminazione interiore che lo aveva colto in via Arpaia.
La “Nuova Pompei” è oggi una città inserita in un territorio urbano tra i più densamente abitati d’Europa. Il Santuario, prima pietra di costruzione dell’intero complesso urbano, è tra i più famosi al mondo e ha la particolarità di non essere, come la maggioranza di essi, sul monte, ma nel cuore di una città, al piano terra potremmo dire, tra strade e piazze dove si svolge la vita quotidiana della popolazione. Esistono tutti i motivi per parlare della “Nuova Pompei”, a distanza di 150 anni dalla fondazione, come del punto di arrivo della visione e del progetto di Bartolo Longo. In effetti tornano tutti i conti, con il complesso delle Opere a testimoniare un imponente ponte di passaggio tra la fede e la carità, trasformando la spinta all’evangelizzazione in un poderoso investimento sociale. Tutto è ancora in piedi nelle forme di una carità aggiornata ai tempi. E altre opere, su quella scia, si sono sviluppate fino a oggi, nella chiesa guidata da 12 anni dall’arcivescovo-prelato Tommaso Caputo.
Il Santuario della Madonna di Pompei - .
Il santuario e la città, le opere assistenziali, prima fra tutte l’ospizio per i figli e le figlie dei carcerati, uno “schiaffo” anche ideologico alle teorie del Lombroso sulla tara ereditaria della violenza, e i servizi per costruire un impianto urbano, legato ma non dipendente o sussidiario rispetto a quello religioso. E ancora: Bartolo Longo, l’uomo di fede e il cittadino, il devoto infervorato di Maria e il laico attento alle distinzioni tra Stato e Chiesa per rendere più saldo e autentico il rapporto tra comunità ecclesiale e rappresentanza civile.
Nella Napoli post-borbonica il giovane avvocato viveva il clima di un cattolico papale al quale restavano, tuttavia, del tutto estranee le forme organizzative che al Nord del Paese avevano dato vita, per esempio, all’Opera dei Congressi. Non era l’organizzazione parrocchiale, largamente utilizzata anche nella difesa degli “imprescrittibili diritti” della Santa Sede, l’obiettivo centrale di un impegno che, già in partenza, prevedeva un approdo di natura sociale. D’altra parte, a fare “rete”, seppure con la fragilità di un territorio povero e dismembrato, non erano certo le parrocchie, quanto piuttosto le Confraternite che esprimevano, nella loro derivazione più popolare, il carattere e la cultura religiosa di larga parte del Mezzogiorno italiano.
Era a partire da quelle condizioni che Bartolo Longo poteva pensare al Santuario e iniziare, però, già a guadare alla città: l’una essenziale all’altra e fin dall’inizio con il segno di una distinzione lungimirante e, per quei tempi e quel clima, addirittura audace.
Così la “città mariana” prendeva forma assemblando valori e materiali di costruzione: si propagava il Rosario e spuntava e s’innalzava il campanile, mentre parallelamente si sviluppava sul territorio la rete dei servizi che identificano una città: le strade, la ferrovia, l’ufficio postale, perfino il primo nucleo di edilizia popolare per gli operai. Un percorso non solo originale ma, a suo modo, sovversivo perché mai un campanile aveva fatto da compasso per la crescita del resto di una città. Nel migliore dei casi il tempio aveva creato intorno a sé lo spazio agibile per una sorta di “buona condotta” sociale. Viene in mente, pensando all’oggi, il paradigma delle “periferie esistenziali” evocate da papa Francesco, il terzo pontefice pellegrino a Pompei, dopo San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. E di riflesso, il rapporto diretto tra Bartolo Longo e i papi iniziato con Leone XIII, il papa del Rosario, e, attraverso l’enciclica Supremo Apostolatus Officio, ispiratore della “Supplica”, la più famosa delle preghiere mariane longhiane. A Pio X e alla Santa Sede Longo affidò alla fine la proprietà del Santuario.
Nel tempo, la città mariana ha continuato a essere anche la casa dei papi e il legame è stato particolarmente forte con Papa Wojtyla che visitò il Santuario in due diverse occasioni. Quando il 21 ottobre del 1979, Giovanni Paolo II si affacciò dalla Loggia della Basilica, avverando la profezia di “don Bartolo” secondo il quale un giorno il Papa avrebbe salutato la folla dalla facciata del Santuario – in piazza veniva distribuita l’edizione straordinaria di Avvenire, per la prima volta stampata fuori Milano. Giravano le rotative dell’edizione Sud, stampata per alcuni anni nella tipografia del Santuario, un’altra delle opere avviate dal fondatore. Scrittore prolifico e brillante, autore di molte pubblicazioni e ideatore e factotum del “Rosario e la Nuova Pompei”, oggi 141 anni di vita, fu proprio la penna, insieme al rosario, il suo primo strumento di apostolato. Ma lui pensava in grande. E la penna non poteva essere altro che la prima pietra di un’azienda grafica, per anni, tra le più importanti del Mezzogiorno.