Chiesa

CEI. Il card. Bagnasco: «Cambiare si deve»

lunedì 21 maggio 2012
«A una crisi epocale si deve rispondere con un cambiamento altrettanto epocale, di mente anzitutto, che invece è la più lenta a lasciarsi modificare. Forse è vero che ancora non c’è ovunque la percezione di quanto grave sia la situazione attuale… Si doveva cambiare. Si deve cambiare». Questo uno dei passaggi centrali della prolusione del cardinale Angelo Bagnasco alla 64esima Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana, che si è aperta a Roma si chiuderà venerdì. Il presidente della Cei, soffermandosi sulla crisi economica che ha investito l’Italia e l’Europa, ha ricordato “l’iniziativa governativa di messa in salvo del Paese, in grado di scongiurare il peggio”. “Se parlare di declino spaventa, e forse non è neppure giusto” ha detto Bagnasco, “bisogna almeno dire che è necessaria una generale ricalibratura dell’idea del vivere personale e collettivo, riconoscendo che, ieri, qualcosa di importante ci era sfuggito o era stato sottovalutato. E poiché gli Stati solitamente non falliscono, sappiano però che oggi nel mondo possono scattare nuove forme di servitù imposte dai vincoli internazionali, in primo luogo dalla mano lunga e cinica della finanza speculativa”.Subito dopo il cardinale presidente ha richiamato anche un fatto vivo nella cronaca di questi giorni, la fuga di documenti dalla Santa Sede e la loro pubblicazione: “Episodi nuovi di comunicazione selvaggia si sono ancora una volta manifestati nel sistema mediatico nazionale, con ripercussioni amare anche fuori dai nostri confini. Come se il Paese non avesse abbastanza preoccupazioni, altre ce ne procuriamo di totalmente gratuite. Di più: si cerca di costruire colpi di scena con l’arma impropria di un’informazione “rubata” a sedi istituzionali altissime, che hanno status internazionale. Non possiamo con fermezza non ricordare che la deontologia giornalistica non è qualcosa che si può usare a proprio piacere secondo circostanze e interessi: essa ha regole, doveri e limiti precisi. Non esiste un dovere deontologico che vada contro i diritti fondamentali della persona e delle comunità, tra cui il diritto alla libertà e a quella riservatezza che rientra nello statuto proprio dell’uomo e nelle fondamenta della civiltà. Ci addolora, e molto, che affiori qua e là una sorta di gusto a colpire la Chiesa, quasi che ne potesse venire un qualche vantaggio: vero è il contrario, sono atti criminosi che appesantiscono tutti e certo non procurano gloria né onore ai protagonisti, noti o ignoti che siano”.All’inizio della sua prolusione, Bagnasco, dopo aver riepilogato le nomine, le dimissioni e gli avvicendamenti tra i vescovi italiani, ha ricordato il dovere dei pastori, di fronte a una situazione complessa come l’attuale, di indicare un orizzonte della speranza: ” Di qui il nostro fervore, il bisogno che avvertiamo di confermare, davanti alla Chiesa e al Paese, la nostra missione, che è missione di speranza. Non a caso ci è parso di cogliere nelle parole e nelle scelte complessive di Benedetto XVI un’accentuazione nuova. Egli alza il tiro e punta decisamente alla fede: o c’è o vi è il niente. Tutto il resto, per quanto rilevante, è secondario. Il futuro dell’evangelizzazione si apre solo per la fede”. Qui si inserisce la “pacifica offensiva” del Papa sul tema, a partire dall’indizione dell’Anno della Fede che si aprirà il prossimo ottobre.PARROCCHIA, LUOGO DELLA NUOVA EVANGELIZZAZIONELa Parrocchia? “non è un luogo di routine a misura dei soliti noti” ha sottolineato Bagnasco, “è il miracolo di Dio dispiegato sul territorio, dove lo straordinario è racchiuso sotto forme abituali ma non per questo meno perentorie e incisive: il miracolo dell’Eucarestia, l’eloquenza dell’Anno liturgico, la potenza della Parola di Dio, le provocazioni di una catechesi ben preparata, la disponibilità di un animatore dell’Oratorio, la presenza di un testimone convincente, un’esperienza forte di servizio… sono tutte circostanze abbastanza consuete, è vero, ma perché mai la grazia non potrebbe essere in agguato sulle vie di sempre?”.ANNNIVERSARIO APERTURA DEL CONCILIOL’Anno della fede si aprirà nel 50esimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II. Questo ha dato lo spunto al presidente della Cei  – oltre a ricordare, se ce ne fosse ancora bisogno, le grazie venute alla Chiesa da quelle grandi e storiche assise – per porsi e porre alcune domande in merito, già avanzate da Benedetto XVI: “La discreta distanza che ormai ci separa da quell’evento conciliare – e anche dallo spirito, genuino ma apocrifo, del ‘68 – ci può consentire una serena valutazione di ciò che ha rappresentato nelle nostre Chiese. Quanta vita di fede espressa fino ad allora dal popolo di Dio è stata messa come tra parentesi anziché essere ripensata con strumenti idonei, rielaborata, rimotivata, rilanciata? E quanto dell’antica, solida fede del popolo cristiano, siamo così riusciti a traslitterare nel nuovo linguaggio ispirato al Concilio?”ROMPERE IL CERCHIO MORTALE DELL’INDIVIDUALISMO“Quando la forbice tra ricchezza e povertà si allarga, la società è a rischio non solo sul piano della coesione ma anche dell’economia. Se senza i consumi il sistema globale va in crisi, per consumare – seppure nella giusta misura – bisogna che tutti abbiano i mezzi. È necessario, dunque, rompere il cerchio mortale dell’individualismo, che corrompe il tessuto sociale; ed è urgente ricostruire la “cultura dei legami” che si esprime nella famiglia, nel vicinato, nell’amicizia, nei luoghi del lavoro, nel percepire la società come parte di noi, così come ognuno, in una certa misura, è parte della società”.RIPORTARCI AL LIVELLO DELLE NOSTRE REALI POSSIBILITA’“Dobbiamo riportarci al livello delle nostre reali possibilità, smettendola di far ricorso allo strumento debitorio. Per questo erano necessarie le riforme già impostate, ed è importante che queste siano ora completate con il massimo dell’equità e del consenso possibile”. Così sempre Bagnasco sul necessario riallineamento dei conti pubblici e non solo.IN POLITICA IL FURTO E’ FURTO DI IDEALI Il presidente della Cei è intervenuto anche sul clima pesante che circonda la politica e sull’ostilità crescente di molti cittadini nei suoi confronti: “I recenti risultati elettorali non possono incentivare involuzioni del quadro della responsabilità politica, né demagogie e furbizie, grossolane o sottili che siano. Riconoscendo le persone oneste e perbene che – indubbiamente – ci sono e operano con impegno nel quadrante politico, non si può tacere però di quanti, lasciandosi andare a pratiche corruttive, a ragione vengono oggi ritenuti alla stregua di traditori della politica. Il latrocinio, in questo caso, riveste una duplice gravità: in sé e per il furto di ideali che esso rappresenta. La politica è, invece, arte nobile e necessaria per servire la giustizia di un Paese, mentre ogni corruzione – in qualunque ambiente si consumi – è un tradimento del bene comune. Vorremmo davvero che i partiti, strumenti indispensabili alla gestione della polis, profittassero di questa stagione per produrre mutamenti strutturali, visibili e rapidi, nel loro costume politico e nella stessa offerta politica”.LA SITUAZIONE GIOVANILE“I giovani in particolare devono finalmente ricevere dei segnali concreti, che vadano oltre la precarietà, la discriminazione, l’arbitrarietà. Le misure necessarie per le nuove generazioni e i diritti che esse vedono oggi riconosciuti, devono effettivamente compensarsi anche attraverso una scrupolosa revisione delle garanzie, che non possono valere solo per determinate fasce. L’uguaglianza è condizione della fraternità. Con i diritti ci sono i doveri: in primis quello di meritarsi il lavoro e la sua stabilità. Ci sono tentazioni parassitarie che non fanno onore a chi vi ricorre – né a chi dovesse assecondarle − mescolandosi accortamente con gli altri e facendo conto strumentalmente su garanzie assicurate sulla base di giuste premesse. E c’è un costume insano che sta prendendo piede, persino in certe campagne pubblicitarie, secondo il quale si è spinti a spendere per i propri consumi ciò che ancora non si è guadagnato”.IL DRAMMA DEI SUICIDIUn lungo passaggio della prolusione del cardinale presidente è stato dedicato poi al dramma dei suicidi e al disaggio sociale che rivela sempre più dei tratti drammatici: “Il dramma dei suicidi di persone che si sentono schiacciate dalle responsabilità aziendali o familiari, spesso da debiti per i quali non hanno colpa, è un fenomeno che interroga e 10  inquieta. Difficile sottrarsi anche alla percezione che vi possa essere un involontario, perverso effetto emulativo. Nel rispetto assoluto di ogni situazione, noi abbiamo il dovere di ricordare che nulla vale il sacrificio della vita: essa è sacra, nessuno ne può disporre a piacere e neppure a dispiacere. Vanno appurate con diligenza le cause concrete di questi fenomeni, e vanno approntati “sportelli amici” a cui possa rivolgersi con fiducia chi è disperato. Com’è noto, su questo fronte la Chiesa italiana e le varie Diocesi da tempo sono mobilitate in modo operativo e concreto per creare – più fitta e resistente – una rete di protezione della vita di tutti e di ciascuno. In nome di Dio, tuttavia, chiediamo a tutti di fermarsi prima di arrivare al passo irreparabile. Proprio la perentorietà con cui spesso si presentano le situazioni di crisi, richiede a tutti gli enti e sportelli preposti di adottare criteri di ragionevole flessibilità. Stato, Amministrazioni ed Enti pubblici paghino senza ulteriori indugi i debiti contratti con i cittadini e le aziende. È semplicemente paradossale dover chiudere un’azienda per la mancata corresponsione del dovuto da parte dell’ente pubblico, quando poi è l’ente pubblico che dovrà in altro modo farsi carico degli ulteriori segmenti sociali di disperazione. Sappiamo bene che gli istituti bancari giudicano ad oggi già pericoloso il livello della loro esposizione creditizia: ma noi non possiamo non far appello al senso civico e al dovere della solidarietà nei confronti delle piccole aziende e delle famiglie. Con grande rispetto, invitiamo la classe imprenditoriale a ripensare alla facile strategia delle delocalizzazioni: la genialità che ci è riconosciuta deve trovare esplicazione nel ciclo complessivo della produzione, bilanciando lavoro e redditività, ma anche salvaguardando, pur in una logica non isolazionistica, l’italianità delle industrie e delle relative dirigenze”.SACERDOTI A CONFRONTO CON LA CRIMINALITA'“Vorrei aggiungere una parola nei riguardi dei sacerdoti che al Sud, ma ora anche al Nord, si trovano a far fronte al sistema mafioso, alle sue minacce e alle sue intimidazioni”, ha detto Bagnasco: “Noi Vescovi siamo, senza incertezze né titubanze, schierati con loro, e ancora una volta vogliamo assicurare che la Chiesa mai diserterà il proprio impegno contro la malavita: non è successo nella precedente stagione, non capiterà ora. Altre minacce ci stanno insidiando e su di esse si sta puntando un’assidua vigilanza, insieme alla massima attenzione per prevenire e perseguire gli autori e i fiancheggiatori di violenza”.SEGNALI DI TENSIONE E VIOLENZABagnasco ha poi ricordato due recenti episodi di violenza, che hanno rimandato a episodi e stagioni cupe del passato: “A Brindisi c’è stato un attentato mortale in cui ha perso la vita una giovane, Melissa Bassi, e sono state ferite altre cinque allieve, tutte che stavano entrando a scuola per apprendere e prepararsi alla vita. Nella mia Genova, com’è pure noto, c’è stata la gambizzazione di un alto dirigente aziendale, Roberto Adinolfi. Lasciando agli inquirenti le conclusioni di competenza, è inevitabile fare collegamenti col passato e intravvedere ombre eversive che cercano di pescare nel torbido di disagi e paure per destabilizzare la vita sociale. Nessun credito da parte di alcuno può essere dato a coloro che, comunque travestiti, usano violenza e perpetrano crimini. L’Italia ha un’indole di equilibrio e misura, sembra corrispondere alla bellezza e all’armonia della nostra terra. Non tende di per sé ad eccessi né ad estremismi”.DIVORZIO BREVE E CULTURA DEL TUTTO PROVVISORIOInfine, un richiamo alla cultura del provvisorio, che per il cardinale Bagnasco permea sempre di più la società e rischia di frantumarla con danni irreversibili: “In una cultura del tutto-provvisorio, l’introduzione di istituti che per natura loro consacrino la precarietà affettiva, e a loro volta contribuiscono a diffonderla, non sono un ausilio né alla stabilità dell’amore, né alla società stessa. La famiglia non è un aggregato di individui, o un soggetto da ridefinire a seconda delle pressioni di costume oggi particolarmente aggressive e strategicamente concentrate; non può essere dichiarata cosa di altri tempi. Ecco perché l’ipotesi del cosiddetto “divorzio breve” contraddice gravemente qualunque possibilità di recupero, e rende complessivamente più fragili i legami sociali. Interessante il dato emerso da una recente indagine promossa dall’Università Bicocca di Milano, secondo cui le persone che attribuiscono più importanza alla famiglia e alle relazioni che in essa si sviluppano sono in genere le più felici”.