Chiesa

Gmg2016. Il silenzio nella visita ad Auschwitz L'abbraccio a 11 sopravvissuti

Stefania Falasca giovedì 28 luglio 2016
Li ha voluti incontrare nel corso della sua visita ai campi di concentramento di Auschwitz-Birkenau. Papa Francesco desidera averli vicino venerdì proprio lì, all’ingresso del Blocco 11, uno dei luoghi più commoventi e simbolici del campo di Auschwitz e al termine della ferrovia nel campo di sterminio di Birkenau, accanto alla memoria superstite dei forni crematori per la soluzione finale. Undici ebrei sopravvissuti alle camere a gas e ventidue Giusti delle nazioni. A Birkenau, nella piazzola del monumento alla vittime di ogni nazione, davanti a un migliaio di persone, dopo aver deposto una candela e pregato in silenzio davanti alle lapidi in marmo incise nelle ventitré lingue degli ex deportati, il Papa si fermerà a stringere la mano ai “giusti” e ai loro familiari uno a uno, mentre il rabbino capo della Polonia, Michael Schudrich, intona in ebraico il salmo 130. Tra i ventidue, Janina Kierstan, madre generale delle suore Francescane è qui in memoria di suor Matylda Getter che durante l’occupazione nazista ha salvato più di 500 bambini e 250 anziani ebrei del Ghetto di Varsavia. Così come il sacerdote cattolico Stanisław Ruszała della parrocchia di Markowa, in ricordo di Józef e Wiktoria Ulma e dei loro sette bambini che furono trucidati da nazisti per aver salvato degli ebrei. Alla fine del 1942, nonostante la povertà e il rischio della vita, gli Ulma avevano dato rifugio a otto ebrei: Saul Goldman e i suoi quattro figli. Il 24 marzo 1944 i nazisti arrivarono alla casa degli Ulma, spararono agli ebrei e sterminarono l’intera famiglia. Nel 1995, Wiktoria e Józef Ulma furono riconosciuti come “Giusti tra le Nazioni” e nel 2003 è stato avviato il processo per la causa di canonizzazione di questa famiglia nella diocesi di Przemyśl, attualmente in corso. Padre Ruszala rappresenta anche i mille sacerdoti polacchi che hanno salvato ebrei e che solo in una recente ricerca sono stati identificati per nome. Nel cortile accanto al Blocco 11 negli edifici dell’ex Auschwitz, dove i nazisti compivano le esecuzioni, il Papa incontra individualmente gli undici ebrei sopravvissuti, l’ultimo dei quali gli consegnerà una candela. Naftali Fürst, deportato ad Auschwitz nel novembre del 1944, ha scritto “Come pezzi di carbone tra le fiamme del terrore” per raccontare come la sua famiglia sia sopravvissuta all’Olocausto. Tutti furono detenuti al campo di Auschwitz-Birkenau. Tra quanti personalmente si intratterranno con papa Francesco c’è Marian Majerowicz, liberato durante la “marcia della morte” nel 1945 e attualmente presidente dell’associazione degli ebrei vittime della Seconda guerra mondiale a Varsavia. Così il professore Wacław Dlugoborski, numero di campo 138871, che fu arrestato nel maggio 1943 a Varsavia per attività cospiratrici. Il 25 agosto del 1943 fu trasportato dalla prigione Pawiak ad Auschwitz e venne impiegato nell’ospedale del campo di Birkenau fino al gennaio 1945. Durante il trasporto per una evacuazione riuscì a fuggire dal campo. Dopo la liberazione iniziò a lavorare come ricercatore universitario e divenne curatore del Museo di Auschwitz-Birkenau. A loro si affiancano Valentina Nikodem, Eva Umlauf, Peter Rauch, Janina Iwanska, perché la memoria non vuole parole ma nomi e storie che restano. Tra i primi a guardare negli occhi il Papa argentino amato dagli ebrei, Helena Dunicsz, numero 64118, la nota violinista polacca nata a Vienna nel 1915, deportata nel 1943. Niwinska è l’unica sopravvissuta dell’orchestra di campo Auschwitz II-Birkenau. Compirà domani centouno anni, in questi giorni ha voluto dare ospitalità nella sua casa a Cracovia ad alcuni dei ragazzi della Giornata mondiale della gioventù.