Gesuiti. Padre Arrupe, un passo avanti per la beatificazione
Giovanni Paolo II con padre Pedro Arrupe nel 1981
Missionario in Giappone come Francesco Saverio, secondo basco dopo Ignazio di Loyola a guidare da preposito generale la Compagnia di Gesù negli anni turbolenti del post-Concilio (1965-1983). Ma soprattutto un uomo che spese la vita per gli altri. Soprattutto i poveri e in particolare i rifugiati.
È il ritratto che probabilmente emergerà oggi a Roma con la sessione di chiusura dell’inchiesta diocesana sulla vita, le virtù, la fama di santità e dei segni del servo di Dio il gesuita Pedro Arrupe (1907-1991). L’evento si aprirà questa mattina (nel giorno, tra l’altro, in cui si ricorda la sua nascita a Bilbao avvenuta il 14 novembre del 1907) alle 12 nella Sala della Conciliazione, del Tribunale nel Palazzo Apostolico Lateranense (e potrà essere seguito live grazie al link tinyurl.com/28wwyw3s).
A presiedere la sessione sarà il prossimo cardinale e vicario del Papa per la diocesi di Roma Baldo Reina. Con il futuro porporato saranno presenti i membri del Tribunale diocesano che hanno condotto l’inchiesta: monsignor Giuseppe D’Alonzo, delegato episcopale; don Giorgio Ciucci, promotore di giustizia; Marcello Terramani, notaio attuario. Un appuntamento quello di oggi che permetterà di fare affiorare, dopo una lunga indagine durata più di 5 anni (la fase diocesana si è aperta il 5 febbraio del 2019) i singolari tratti di carità, santità, amore e obbedienza per la Sede Apostolica del servo di Dio.
Di questo è convinto il postulatore generale delle cause dei santi della Compagnia di Gesù il gesuita madrileno Pascual Cebollada. «Nel processo, il tribunale ecclesiastico della diocesi di Roma luogo in cui è morto il 5 febbraio del 1991 – spiega - ha ricevuto circa 70 testimonianze orali, e ci sono circa di 10mila pagine degli scritti inediti di Arrupe raccolti dalla Commissione storica durante questi più di cinque anni, includendo il tempo della pandemia». E annota il gesuita, classe 1960, che di formazione è un esperto di teologia spirituale: «Non era una novità, ma si conferma la grande coerenza di quest’uomo nel suo amore al Signore, alla Chiesa, alla Compagnia, con una dedizione totale a quello che considerava la volontà di Dio in ogni momento, come aveva promesso in un voto di perfezione privato fatto la veglia della sua ordinazione sacerdotale nel 1936».
Il religioso ignaziano si sofferma sull’atto solenne di oggi. «Simbolicamente – rivela – dopo giuramenti, discorsi e preghiere, si chiuderanno le scatole, i faldoni. Tutta la documentazione sigillata con la cera lacca sarà consegnata al Dicastero delle cause dei santi. La speranza è che in pochi anni, dopo la stesura della sua Positio, don Pedro, così veniva familiarmente e amorevolmente chiamato da alcuni gesuiti, possa essere dichiarato venerabile».
Una fama di santità di questo basco così singolare che continua a crescere. E testimoniata forse anche da come visse il crepuscolo della sua vita in preghiera e in silenzio. E sempre in comunione con il Successore di Pietro di allora: Giovanni Paolo II. Nell’estate del 1981 un infarto lo conduce alla paralisi e alla perdita della parola. Lasciato l’incarico di preposito generale, muore nel 1991 nell’infermeria della Curia generale dei gesuiti a Roma, vivendo questo lungo tempo di malattia pregando per la Compagnia e la Chiesa. «Sì, la nostra Postulazione Generale riceve frequentemente testimonianze scritte che vengono da luoghi e persone di estrazione culturale diverse. L’ultima, inoltrata alcuni giorni fa, di un luterano legato a Taizé che lo aveva conosciuto personalmente». E aggiunge un dettaglio: «Notizie di alcune possibili guarigioni miracolose sono pervenute alla nostra Postulazione, ma finora nessuna di esse è risultata valida per essere considerata un miracolo. Invece, grazie e favori, segni ottenuti per la sua intercessione continuano ad arrivare in modo costante e mostrano la devozione alla sua persona».
L’appuntamento di oggi consentirà di tornare con la mente al carismatico generalato di questo basco (che partecipò tra l’altro all’ultima sessione del Concilio Vaticano II nel 1965) e che da giovane gesuita si spese nell’agosto del 1945 per aiutare e venire incontro (grazie anche ai suoi studi universitari in medicina) agli sfollati e alle persone ferite di Hiroshima dopo il disastro nucleare della bomba. Padre Cebollada si sofferma su un altro aspetto: la venerazione interna alla sua Famiglia religiosa per l’illustre confratello. Molto simile a quella nutrita e coltivata negli anni da due futuri cardinali e gesuiti del rango di Carlo Maria Martini e Jorge Mario Bergoglio che lo conobbero da “vicino”. «Arrupe è stato il superiore generale di entrambi, e si conserva il loro rapporto scritto, non accessibile fuori di un processo di beatificazione (sono posteriori al 1958). Ma molto di questo rapporto speciale ed epistolare è noto. E papa Francesco ha sempre mostrato con le sue dichiarazioni ma anche i gesti come quello di recarsi alla sua tomba alla Chiesa del Gesù di Roma nel 2013 la sua sincera ammirazione per il servo di Dio». E annota ancora un particolare: «Oggi i nostri novizi continuano a leggere testi rilevanti e significativi scritti dal gesuita di Bilbao per la loro vocazione. Come è singolare che più di 150 istituzioni (universitarie e non solo) della Compagnia nel mondo portano il suo nome (tra queste il “campus Arrupe” di Madrid inaugurato nel settembre scorso). Tutto questo ci mostra l’attualità degli insegnamenti di Arrupe all’interno della Compagnia di Gesù di oggi». Un personaggio don Pedro che ha lasciato un’impronta indelebile sul suo Ordine: sotto la sua guida (18 anni di governo) la Compagnia reinterpreta la sua missione come servizio della fede e promozione della giustizia: durante il suo generalato nascerà, nel 1980, il Jesuit Refugee Service. «Egli è stato “un uomo per gli altri” – è la riflessione finale -. Ed è stato un uomo straordinario in tante cose. In un tempo di fede debole lui ci ha indicato sempre anche attraverso i suoi scritti e la sua testimonianza spesso silenziosa degli ultimi anni il primato di Dio. Proprio come voleva Ignazio credeva nei rapporti personali. E aveva fiducia negli altri. Di fronte alle ingiustizie del mondo, allo sfruttamento degli ultimi e alle crisi migratorie che ancora in questo 2024 stiamo vivendo ha avuto l’intuizione più di 40 anni fa di fondare il Jesuit Refugee Service. Tutto questo ci fa pensare a quanto sia ancora attuale e profetica, a 33 anni dalla sua morte, la sua eredità per noi gesuiti. E non solo».