Il libro. Luciani il Papa del sorriso. Santità vera
Era il 6 ottobre 1978 e l’allora arcivescovo di Monaco e Frisinga, cardinale Joseph Ratzinger, nell’omelia del pontificale in suffragio di Giovanni Paolo I ne rimarcava così il tratto inalienabile: «Una luce che non può più venirci tolta».
Nell’agosto 1977, un anno prima della sua morte, anche l’allora patriarca di Venezia, Albino Luciani, indicava il cardinale Ratzinger: «Pochi giorni fa mi sono congratulato con il cardinale Ratzinger, egli ha avuto il coraggio di proclamare alto che “il Signore va cercato là dov’è Pietro”. Ratzinger m’è parso in quell’occasione profeta giusto, non tutti quelli che scrivono e parlano oggi hanno lo stesso coraggio; per voler andare dove vanno gli altri, al- cuni di essi accettano solo con tagli e restrizioni il Credo pronunciato da Paolo VI nel 1968 alla chiusura dell’Anno della fede; criticano i documenti papali; parlano continuamente di comunione ecclesiale, mai però del papa come punto necessario di riferimento per chi vuole essere nella comunione vera della Chiesa. Altri, più che profeti» continuava Luciani «sembrano dei contrabbandieri; approfittano del posto che occupano, per smerciare come dottrina della Chiesa quello che è, invece, loro pura opinione personale».
Sempre Ratzinger nella liturgia in suffragio di papa Luciani ebbe a dire: «È stato sepolto il giorno di san Francesco d’Assisi, l’amabile santo al quale era così simile». E come san Francesco nella Chiesa dei suoi tempi, che aveva bisogno di molta riforma, egli aveva imboccato il metodo giusto della riforma: «Amore appassionato a Cristo. Vivere come lui, di lui, applicando il Vangelo, aderire a lui come fosse presente, è stato il suo programma». Consummatus in brevi, explevit tempora multa (Sap 4, 13). Se il breve pontificato di Giovanni Paolo I non è stato il passaggio di una meteora, egli è tuttora segno di quella continuità di speranze che vengono da lontano e che affondano le radici nel mai dimenticato tesoro di una Chiesa antichissima, senza trionfi mondani, che vive della luce riflessa di Cristo, vicina all’insegnamento dei grandi Padri e alla quale era risalito il Concilio. E dalla quale provengono le priorità di un pontefice che ha fatto progredire in un tempo breve la Chiesa lungo la dorsale di quelle che sono le strade maestre della risalita alle fonti del Vangelo e di una rinnovata missionarietà, perseguendo il servizio nella povertà ecclesiale, il dialogo con la contemporaneità, la collegialità nella fraternità episcopale, la ricerca dell’unità con i fratelli delle altre Chiese cristiane, il dialogo interreligioso, la ricerca della pace.
La sua disponibilità si era sostanziata nell’annuncio evangelico. Fin dal programma aveva messo l’accento su tale annuncio, «primo dovere della Chiesa intera», offrendosi come impronta perché il vescovo di Roma potesse essere di tutti e particolarmente dei poveri, «veri tesori della Chiesa», come aveva ripetuto a San Giovanni in Laterano. Ed è proprio nell’espressione di queste priorità, mostrate da Luciani nel corso breve del suo pontificato, il filo diretto con il presente. È allora in questa stringente e provocante at- tualità che va riconsiderata la sua statura, erede e precorritrice dei tempi. E qui la valenza storica di quell’inalienabilità evocata da Ratzinger.
Non occorre perciò chiedersi quale sarebbe stata la strada che con lui avrebbe percorso la Chiesa. L’immagine che di essa nutriva Giovanni Paolo I è quella del discorso delle Beatitudini, dei poveri di spirito, che non si nasconde né si confonde con la logica delle mistificazioni e delle consorterie. Non si è chiuso con lui un capitolo della storia dei papi. Ciò che la Chiesa sta rivivendo nel suo in- terno da Giovanni XXIII, dal Concilio vaticano II, da Paolo VI, non è una parentesi. Se il governo di Albino Luciani non poté dispiegarsi nella storia, egli ha concorso più di ogni altro a rafforzare oggi e a testimoniare oggi il disegno di una Chiesa che con il Concilio è risalita alle sorgenti per essere fedele alla natura della sua missione nel mondo.
La morte repentina non ne ha decretato la morte. Luciani non fu ucciso.
È stato ucciso post mortem dal silenzio di quanti, fuori e dentro le mura vaticane, non hanno potuto trarre vantaggi personali in termini di onori mondani dal suo fugace passaggio, dalla sua limpida e scarna testimonianza evangelica. È stato ucciso post mortem dal sussiego di un oblio storico e storiografico perché sfuggente ai compartimenti stagni degli incasellamenti e ai ritorni d’interesse dei riscontri in chiave ideologica di quanti allora, come ancora oggi, confrontano gesti e parole con la tabella dei valori stabiliti dalle agende liberal o conservative.
È stato ucciso post mortem dall’avido accredito alle pièce teatrali di certa fumettistica noir che ha speculato abilmente sull’immaginario accattivante di una morte violenta relegandolo a una damnatio memoriae per la quale valgono le parole di Cristo agli scribi e ai farisei: «Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre» (Lc 19, 40).
Anche l’epilogo compiuto della Causa – che si offre quale contributo per una sistematica ricerca e una riscoperta – diviene allora non la riabilitazione staliniana dei caduti, non una questione di risarcimento o di “ricorso in appello”, ma un atto di resipiscenza profonda, che restituisce a Luciani esattamente quello che Luciani ha significato nella e per la Chiesa.
Diviene così un atto di giustizia e di pace, cioè un vero atto di Chiesa. Non si è potuto del resto ignorare che dalla morte di Giovanni Paolo I una fama di santità non artefatta, non sponsorizzata da strategie ecclesiastiche, si è diffusa sempre più in crescendo spontaneamente e universalmente. La voce degli umili ha scalzato il silenzio. Hanno gridato le pietre.
Tratto da "Papa Luciani. Cronaca di una morte", ed. Piemme, Milano 2017