Si proclamano solo in questa settimana. Da sempre prima e dopo il “Magnificat” dei Vespri, dal Concilio anche nella Messa come versetto dell'Alleluia. Sono le sette “Antifone maggiori” che precedono la vigilia di Natale, ogni giorno dal 17 al 23 dicembre ne dischiude una propria.
Il loro testo trasuda di immagini bibliche, la melodia originale risuona di canto gregoriano. È vero: oggi sono intonate sempre meno, sempre più proclamate in quella semplice lettura che ne reprime l’ispirato lirismo. Ma nel cuore di don Renato Laffranchi continuano a brillare come “piccole stelle che si accendono negli ultimi giorni del tempo dell'Avvento, quel Tempo che nel circolo dell'anno è figura del grande Vespro della storia, di quel suo declinare verso una notte che non è un morire della luce, ma il suo apparire definitivo sul mondo; quel Tempo che induce nei cuori la nostalgia del Giardino perduto e il brivido di una Gloria ventura, il dovere della veglia e il coraggio della speranza”.
Suona suggestivo riscoprire queste antifone proprio ora, lasciarsi trasportare dalle loro immagini solenni e poetiche, viverle come quello “scrigno di tesori” per cui il 91enne sacerdote bresciano al vespro della vita si sente “debitore della Chiesa”. Ne prendi il testo, ne togli la “O” iniziale che le caratterizza tutte. Poi ti soffermi sulla prima lettera dei 7 appellativi con cui ogni antifona canta il venturo Messia, e scopri che leggendole a ritroso pronunci “Ero cras”. La traduzione ti scaturisce naturale: “Domani verrò a esistere”.
Ascoltiamone la prima, “O Sapientia”, attenti allo schema melodico che risuona quasi identico in tutte le altre 6 antifone: le note sembrano generare l’invocazione “O” dalla terra, elevarla verso il cielo, e poi farla ridiscendere al mondo fiduciosa ma sempre sospesa in una cadenza che ancora non trova il suo compimento definitivo.
Don Renato, prete scrittore, per queste “memorie cantate” nutre un amore viscerale. E mai cessa di stupirsi di fronte al loro dipanarsi in “testi brevissimi, di poche parole, che il latino rileva e sigilla in una specie di intraducibilità nel banale, lasciandole misteriose, adombranti e allusive”. Ma don Renato è anche prete pittore. Così, “queste parole”, prima “cantate nella memoria”, poi afferrate dalle sue mani, sono divenute tavole a tempera. Era il 2003.
Ancor oggi, agli occhi del loro autore si stagliano come “apparizioni appena intravviste”, che egli cerca “a lungo di vedere più chiaramente, o, meglio, a lungo” lascia “decifrarsi”. Ed ecco allora non solo cantato ma anche illustrato “il cammino di Dio dal primo sorriso di luce che accese il mondo fino al Suo visitarci definitivo nel Cristo come fratello e compagno degli uomini”, un cammino che in quelle 7 composizioni “conduce il cuore lontano a trovare i colori di aurore remote, a trasalire per lampi che trapassarono notti memorabili, a percorrere strade regali nei deserti, a scalare montagne inaccessibili, a spiare l'espandersi improvviso di un virgulto, ad affacciarsi senza paura ai battenti oscuri della morte, a sorridere al Sole mattutino”. Quel cammino che invoca Cristo come “Sapienza imperscrutabile, Adonai di Israele, Fiore dell'albero delle generazioni, Scettro del Re consacrato, Sole sorgente, Fondamento della convivenza, Dio che vive con noi”. Insomma: un itinerario suggestivo e poetico, che dal Dio - Verbo conduce al Dio – Carne. E che dalla solennità della Creazione si abbandona all’abbraccio del Natale.
17 dicembre: O Sapientia