Chiesa

Intervista. «Amoris laetitia, attenzione all'amore»

Luciano Moia domenica 15 maggio 2016
Il costante richiamo alla misericordia nell’Amoris laetitia non impoverisce la verità e nel racconto dell’amore umano non impedisce di indicare il male quando è male. Ma, fa notare don Gilfredo Marengo, docente di antropologia teologica all’Istituto Giovanni Paolo II, permette soprattutto di capire che il cammino di ogni uomo e di ogni donna va accettato così com’è, fragile e incompiuto. Dopo una sessantina di pagine in cui ha affrontato il tema famiglia nella Bibbia, ha messo in luce le situazioni di crisi e poi ha ripercorso il magistero della Chiesa sullo stesso tema, il Papa apre il quarto capitolo di Amoris laetitia spiegando che comunque tutto quanto detto non è sufficiente a capire il vangelo del matrimonio 'se non ci soffermiamo in modo specifico a parlare d’amore'. Un cambio di prospettive? Il testo, proprio nel titolo, sancisce la scelta dell’amore come parola chiave e come elemento di novità che intende offrire. Non è inutile ricordare che scommettere sull’amore umano è stato per la Chiesa cattolica una conquista recente: un percorso iniziato intorno alla seconda metà del secolo scorso e che ha prodotto una riflessione in merito assolutamente originale, oggi autorevolmente confermata. Sono ormai lontani i tempi in cui era ampiamente condivisa la tesi che vedeva nell’istituto del matrimonio l’indispensabile correttivo ai disordini dell’amore romantico. Ma non si era già parlato abbastanza d’amore nel Vaticano II e poi nel magistero di Giovanni Paolo II? Negli ultimi decenni è progressivamente maturata nella Chiesa la consapevolezza che l’esperienza dell’amore umano dovesse essere riconosciuta come luogo massimamente espressivo della questione antropologica contemporanea. Tale convincimento si è manifestato secondo due passaggi. In un primo tempo ci si è confrontati con la provocazione libertaria (la rivoluzione sessuale) che progressivamente si è imposta a partire dalla prima metà degli anni Sessanta. Essa ha avuto conseguenze drammatiche prima di tutto nel tessuto ecclesiale: basterà ricordare la 'crisi' di Humanae vitae e quanto quella mentalità sia stata pervasiva tra i cristiani. Che ferite ha lasciato nelle comunità questa crisi? Ci si rese ben presto contro che occorreva andare oltre la proposta di norme morali, spesso trasmesse in modo schemativo, senza che - so- prattutto alle giovani generazioni fossero chiarite le ragioni e la pertinenza alla totalità dell’esperienza della fede. L’enfasi moralistica sulle norme faceva emergere i limiti di un’adesione al cristianesimo che spesso, a partire dal secondo dopoguerra, sembrava formale e demotivata in un Occidente in cammino verso la secolarizzazione».  Non è proprio quelle che Francesco condanna nell’Amoris laetitia (n.36) l’'ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie così come sono'? Qualcosa di simile è accaduto anche in certi ambienti ecclesiali: un singolare ressourcement romantico che ha preteso di procedere senza soluzione di continuità dagli echi della comunione trinitaria nella vita sponsale... fino alla proposta obbligante dei metodi naturali di regolazione delle nascite, con una disinvoltura tanto culturalmente improvvida quanto pastoralmente sterile. Le cose si sono complicate quando, a partire dagli anni Novanta, le problematiche in gioco si sono acuite e aggrovigliate: ideologia gender, riconoscimento delle unioni omosessuali, gravi questioni bioetiche. Come ha reagito la pastorale della famiglia a questa crescente complessità? Il combinato disposto di questi fatti ha realizzato un esito sconcertante: ricacciare progressivamente sullo sfondo il vissuto quotidiano degli uomini e delle donne che si sposano e mettono su famiglia, chiamati a mettere in gioco la loro libertà in un progetto tanto affascinante quanto complesso, vario, fatto di tappe, successi, fragilità, limiti e difficoltà; il tutto vissuto in una temperie sociale che obiettivamente cospira a instillare dubbi e paure sulla bontà di quel progetto. Che alternative offre l’Esortazione a questa deriva? Privilegia due registri: l’attenzione al vissuto concreto della famiglie (colto nel qui e ora del tempo presente) e il primato da assegnare alla dimensione storica dell’esperienza dell’amore umano. In altri termini: il 'per sempre' che appartiene in origine all’amore umano si rivela, innanzitutto a coloro che si amano, in un cammino, in tappe e percorsi che non possono essere determinati a priori, ma chiedono di essere guardati e accompagnati, consapevoli che 'bisogna mettere da parte le illusioni e accettarlo così com’è: incompiuto, chiamato a crescere, in cammino' (Al 218), fino a sottolineare, con acuta originalità, che l’amore tra l’uomo e la donna è artigianale (Al 221). Qualcuno ha fatto notare che il richiamo alla misericordia rischia di introdurre una sorta di relativismo etico che indebolirebbe la verità. No, il Papa si rivolge alle differenti storie dell’amore senza mettere mai tra parentesi la fatica, la crisi, la contraddizione e il peccato. L’appello alla centralità pastorale della Misericordia non ha nulla a che fare con una superficiale condiscendenza, né tanto meno impedisce la consapevolezza drammatica di quanto – anche in una storia d’amore – il male faccia male, anzi ne rende possibile una piena consapevolezza. Proprio per questi motivi il richiamo insistente alla misericordia, individua uno spazio nel quale, per grazia, l’amore incondizionato del Padre raggiunge e trasfigura ogni concreta storia d’amore.