Anniversario. I pensieri di Paolo VI la sera dell'elezione: disagio e affidamento
Prima benedizione di Paolo VI (Ansa)
Domani saranno trascorsi esattamente 55 anni dall’elezione a Vescovo di Roma di Giovanni Battista Montini, arcivescovo di Milano.
Si era conclusa da qualche mese (dicembre 1962) la prima sessione del Concilio Vaticano II, con un impegno di sapiente equilibrio e attenta apertura verso i segni dei tempi da parte di papa Giovanni XXIII, morto il 3 giugno 1963, e dai padri conciliari, desiderosi di dare alla Chiesa uno slancio di rinnovamento pastorale nella fedeltà alla Tradizione. Giovanni XXIII aveva sposato la causa dell’aggiornamento per una Chiesa più conforme ad essere quel Cristo nella storia, amico dell’umanità nelle sue problematiche e prospettive. Facevano proprio il desiderio del Papa la maggioranza dei padri, tra cui anche il cardinale Montini. Vi era però qualcuno che, con la morte di Giovanni XXIII, auspicava la chiusura del Concilio. Il 20 giugno 1963 dopo l’ultimo dei 'novendiali' (i giorni di Messe in suffragio del Papa defunto), 82 cardinali entravano in Conclave. Vi furono cinque scrutini. Due erano i nomi accreditati: Montini per i cardinali orientati al rinnovamento e Antoniutti quale candidato della Curia Romana. Ottaviani cercò di sponsorizzare Antoniutti. Ma prevalse la linea dell’aggiornamento. Alle 11 del 21 giugno 1963, la fumata bianca. Poi l’annuncio fatto dal cardinale Ottaviani dell’Habemus Papam: Giovanni Battista Montini, che prese il nome di Paolo VI. Poi il nuovo Papa si affacciò per la sua prima benedizione apostolica. Con maestosa semplicità. Nel primo pomeriggio, dopo aver riconfermato nel suo ufficio di segretario di Stato il cardinale Amleto Cicognani, Paolo VI incontrò monsingor Loris Capovilla, segretario di Giovanni XXIII, ringraziandolo per il suo prezioso servizio e assicurandogli che avrebbe continuato il Concilio Vaticano II voluto sapientemente da papa Roncalli.
Tra gli appunti di Paolo VI leggiamo questi suoi pensieri nel prendere possesso degli ambienti pontificali: «Sono nell’appartamento pontificio. Impressione profonda, di disagio e di confidenza insieme. Telegrammi a casa, a Milano a Brescia, ecc., ad alcune persone amiche, telefonate. Poi è notte: preghiera e silenzio, No che non è silenzio, il mondo mi osserva, mi assale. Devo imparare ad amarlo veramente. La Chiesa quale è. Il mondo quale è. Quale sforzo! Per amare così bisogna passare per il tramite dell’amore di Cristo».
Da queste poche righe traspare l’animo con il quale Giovanni Battisti Montini si apprestava a svolgere il suo servizio pontificale quale pastore universale della Chiesa cattolica e quale Buon Samaritano per l’intera umanità.
Questa consapevolezza di voler servire la Chiesa con amore e per amore la riscontriamo durante tutto il suo ministero petrino. Dalla prima sua enciclica Ecclesiam suam, alle note del suo testamento. La stessa prosecuzione del Concilio Vaticano II è un autentico atto di amore verso la Chiesa, bisognosa di riflettere sulla sua identità, sulla sua straordinaria missione e sulla comunione tra i componenti del popolo di Dio.
Paolo VI fu vero riformatore della vita sacramentale, non solo rinnovando i riti, ma ponendo la celebrazione di questi nel contesto dell’ascolto delle Parola di Dio e nella centralità cristica.
L’amore alla Chiesa lo espresse nel richiamare alla coerente valorizzazione del celibato sacerdotale con il documento Sacerdotalis caelibatus e nella regolamentazione delle nascite nella vita sponsale con l’enciclica Humanae vitae. La sua attenzione e amore per l’umanità nel mondo moderno la troviamo ad ogni piè sospinto nei vari proclami, in quello di Bombay, nel discorso all’Onu, nell’enciclica Populorum Progressioe nell’aver voluto istituire l’annuale Giornata per la Pace il primo gennaio; nelle sue condanne contro gli sfruttamenti di categorie e popolazioni; nel suo essere presente tra gli operai o gli alluvionati e i minatori.
Il Pontificato di Paolo VI fu un tempo di ascolto, di dialogo, di precise indicazioni dottrinali e di richiamo per la Chiesa di autentica conversione per un sincero cammino ecumenico e per il modo di sentire la Chiesa come amica di chi cerca verità, giustizia e solidarietà.
In tempi non facili ha saputo essere voce sicura e cuore attento per coloro che nel nome di Cristo volevano essere fratelli e sorelle degli ultimi e dei popoli bisognosi di concreta solidarietà per uno sviluppo che desse loro dignità tra le Nazioni. Questo tentò di offrire all’intera Comunità internazionale e alla Chiesa, per una civiltà dell’amore.