C’è l’Africa depredata, e quella che si lascia depredare. L’Africa che combatte guerre per conto terzi, e l’Africa che pare abbia smarrito parole di pace. L’Africa ricca di ogni bene, ma incapace di custodirli e di investire sui propri valori. Soprattutto, e nonostante tutto, c’è l’Africa che non smette di sperare e che in papa Francesco trova la spinta per rialzarsi. Per padre Alex Zanotelli, missionario comboniano a lungo in Sudan e Kenya, e adesso tra i fitti vicoli partenopei del rione Sanità, quello di Francesco è un viaggio nel cuore delle contraddizioni del mondo, non so- lo di un continente, ed anche una sfida perché il mondo guardi all’Africa per lasciarsi interrogare e ispirare.
Che Africa sta incontrando papa Bergoglio? Se c’è un’area che può essere definita “continente crocifisso”, questa è l’Africa. Il Papa sta toccando con mano quelli che sono i risultati di un sistema che lui ha denunciato e denuncia, nel quale il cosiddetto sviluppo va a beneficio di pochi, mentre la parte maggiore della gente è e resta sempre più povera. Una contraddizione se pensiamo che l’Africa in sé è tutto fuorché povera.
In altre parole? È il continente più ricco al mondo. Ed è proprio la ricchezza la sua maledizione. Dalle bellezze paesaggistiche, alla natura, ai giacimenti energetici e minerari, solo per stare alle risorse economiche e non citare quelle culturali, storiche, spirituali. Ricchezze che vanno nelle tasche di chi già possiede. L’Africa dispone di un patrimonio che non ha eguali e per questo viene saccheggiata.
Il Papa vuole recarsi nella Repubblica Centrafricana, anche a costo lanciarsi con il paracadute, ha detto lui con una battuta al comandante dell’aereo. Nessun leader mondiale è andato lì. Alcuni osservatori locali dicono che “Bergoglio va in guerra”. Perché secondo lei? Nel continente non è diminuito il numero dei conflitti. Il Papa ha parlato nei giorni scorsi dei “maledetti”, riferendosi a chi fomenta e prospera con le guerre, dai responsabili politici, ai produttori di armi, a chi le commercia. Armi che servono solo a mantenere chi ha privilegi basati sullo sfruttamento. Ovunque i propri interessi vengono minacciati si fa una guerra. Guerre spietate dei ricchi sui poveri. Basti vedere cosa ne è della Somalia, che nonostante trent’anni di conflitto e interventi internazionali, non conosce un solo giorno di pace. O il Burundi che sta scoppiando di nuovo, come la Repubblica Centrafricana ferita da una guerra civile paurosa, e poi il Sud Sudan, il Sudan in guerra con le sue popolazioni, e poi tutta la zona Saheliana, dal Senagal al Mali fino al Niger. Il Papa arriva in un momento chiave e questa visita mette in discussione un sistema di potere basato sulla violenza.
In che modo? Le armi servono a mantenere lo sfruttamento. Basterebbe pensare che in Libia avevamo Gheddafi, che era un dittatore, ma non c’erano gruppi fondamentalisti. Davvero abbiamo fatto la guerra per liberare il Paese dal pugno di un despota? E cos’è la Libia oggi? Un paese pacificato? E noi italiani, che abbiamo venduto e continuiamo a vendere armi a non finire, perché non ci interroghiamo? Dopo la sconfitta di Gheddafi l’intero arsenale è finito nei conflitti saheliani. Ecco l’effetto di certe guerre, che non pacificano, non portano stabilità, semmai estendono i conflitti e aumentano i profitti degli “imprenditori di guerra”. Francesco lo dice, stando vicino alle vittime e questo messaggio e questo coraggio non passano inosservati.
Quale ruolo e quali responsabilità toccano la Chiesa locale? Francesco chiede una Chiesa povera e dei poveri, capace di camminare con il popolo, una Chiesa che non dipenda quasi esclusivamente dalla carità che riceve da fuori, che non si faccia sedurre dagli stili occidentali, altrimenti non si farebbe altro che replicare un modello di vita e di sviluppo che non è praticabile e meno che mai è sostenibile in Africa. Ma anche noi, qui in Europa e nell’Occidente, dobbiamo lasciarci interrogare dall'Africa.
Per trovare quali risposte? C’è una parola in lingua swahili, che indica la 'comunità', ma va oltre. È
ubuntu che significa “io sono, perché noi siamo”, non perché 'possediamo'. L’essere, e l’essere in relazione, conta più dell’avere. Questo Francesco ricorderà all’Africa e questo l’Africa può dire a noi.