Il fatto. Addio a padre Bonfitto che con il suo «Santo» cambiò la musica della Messa
Il religioso comboniano e musicista padre Michele Bonfitto
Nei libretti dei canti che si possono trovare nelle parrocchie italiane ce n’è uno che tutti sanno intonare durante le Messe ed è diventato patrimonio musicale delle celebrazioni della Penisola: il Santo di Bonfitto. Molti lo chiamano «del Bonfitto» quasi fosse un luogo. Invece Bonfitto è padre Michele Bonfitto, autore del noto brano. Religioso comboniano nato a San Marco in Lamis, nell’arcidiocesi di Foggia-Bovino, è morto venerdì scorso, all’età di 95 anni, nella sede dei comboniani di Firenze dove risiedeva da circa vent’anni. Compositore e missionario al tempo stesso, apostolo degli “ultimi” e dei sofferenti, aveva scelto anche il pentagramma come “via” per annunciare il Vangelo. E il suo Santo è uno dei più significativi esempi della riforma liturgica (scaturita dal Concilio Vaticano II) tradotta in musica sacra. Una melodia ben più ritmata rispetto a quelle del passato, ma accompagnata da parole che sono di una fedeltà assoluta al testo del Messale. E il brano può essere facilmente cantato dall'intera assemblea favorendo quella partecipazione cara proprio alla riforma liturgica. Non è un caso che padre Bonfitto possa essere considerato uno dei «rinnovatori» della musica liturgica nel post-Concilio.
Il Santo che lo ha reso celebre è stato pubblicato nel 1971 per le edizioni Eco nella raccolta dei canti originali composti da padre Bonfitto per la Messa dal titolo “Sei grande nell’amore. Canti per celebrazioni liturgiche”. Canti che hanno avuto una grande diffusione come Nella Chiesa del Signore, Signore pietà, Gloria a Dio, Beati quelli che ascoltano, Alleluja, Se qualcuno ha dei beni, Santo Mistero della fede, Tuo è il regno, Agnello di Dio, Padre santo, Rimani con noi.
Originario della Puglia, Michele Bonfitto sente fin da piccolo la chiamata a entrare nella famiglia missionaria fondata da Daniele Comboni. Dopo alcuni anni nel Seminario di Troia, prosegue gli studi a Verona dove nella Cattedrale della città scaligera viene ordinato sacerdote nel 1947 dal vescovo Girolamo Cardinale. Subito dopo l’ordinazione, padre Michele si reca a Roma per studiare liturgia e musica sacra. Inviato a Londra dove resta per un decennio, il religioso comboniano si diploma in direzione d’orchestra ed è insegnante per tante persone che si avvicinano all’arte della musica. «In quegli anni – ricostruisce l’amico e allievo, sempre comboniano, padre Teresino Serra, su Il Tirreno – partecipò a un concorso per la composizione dell’inno per l’incoronazione della regina Elisabetta II. Padre Michele avrebbe meritato il primo posto, ma gli fu assegnato solo il secondo perché non era cittadino inglese. La regina gli fece dono però di una bacchetta d’argento da direttore d’orchestra».
Rientrato in Italia, padre Bonfitto viene assegnato alla sede di Carraia a Capannori, in provincia di Lucca, dove i comboniani hanno una scuola di formazione. Quindi l’approdo a Firenze dove continua il suo ministero di testimonianza e di servizio verso gli ammalati in una clinica della città. Cappellano e confessore, non si sottrae, nonostante l’età, a stare vicino ai poveri e soprattutto ai disabili. Il funerale è stato celebrato proprio a Firenze domenica scorsa; poi la salma è stata trasferita a Verona per essere sepolta nel cimitero della casa-madre dei padri comboniani.
Ogni 15 maggio, giorno della nascita di padre Bonfitto, la comunità comboniana di Firenze lo ha sempre festeggiato con una Messa ed eseguendo i suoi famosi canti fra cui il Santo. Il successo nazionale della composizione di padre Michele ha creato, accanto alla versione originale, diversi surrogati con aggiustamenti melodici tanto che oggi c’è una versione popolare che offusca l’originale. L’aggiustamento popolare ha coinvolto anche il testo. Spesso si sente cantare «Santo, Santo, Santo è il Signore…» con quella «è» di troppo. In realtà padre Bonfitto ha ripreso per le parole del suo brano quanto è scritto nel testo liturgico che recita «Santo, Santo, Santo il Signore…» evitando anche errori di natura teologica.