In un mondo segnato da diseguaglianze e povertà, le sferzate della
Evangelii gaudium sono una boccata d’aria fresca per chi, come le Acli, da quasi 70 anni affronta le grandi sfide del lavoro, della solidarietà e della giustizia sociale coniugandole con la fede. Con il presidente nazionale Gianni Bottalico vediamo quali strade l’esortazione apostolica apre all’impegno sociale e politico dei laici.
Francesco loda il ruolo svolto dalle associazioni di ispirazione cristiana per l’evangelizzazione, ma ritiene "salutare" che conservino legami con la comunità cristiana ai vari livelli per non diventare "nomadi senza radici". Cosa ne pensa?È stato uno dei punti qualificanti della mia presidenza far si che le Acli si mettano sempre più al servizio della Chiesa locale per essere protagonisti della vita delle comunità parrocchiali con le nostre sensibilità sul tema del lavoro e del sociale. È un lavoro fondamentale per cercare di formare cristiani attivi sul territorio, sensibili ai piccoli fratelli e alle piccole sorelle in difficoltà per creare una Chiesa madre che accoglie i propri figli.
Il Papa scrive: «Occorre affermare senza giri di parole che esiste un vincolo inseparabile tra la nostra fede e i poveri. Non lasciamoli mai soli». Non è l’occasione per rilanciare tra i cattolici italiani il volontariato e l’impegno sociale e politico oggi in crisi?Assolutamente si. Le Acli hanno stretto un’alleanza con la Caritas contro la povertà con la partecipazione di molte strutture di ispirazione cristiana. Il Papa ci offre l’occasione per ribadire che la sfida del nostro tempo è combattere la povertà che sta diventando fenomeno di massa. È un impegno che nasce dall’ispirazione cristiana e cerca di tradursi in una scelta politica, la più alta forma di carità, e mi pare possa diventare uno degli obiettivi per costruire il bene comune che dichiariamo di perseguire, ma difficilmente riusciamo a realizzare.
L’esortazione giudica l’impegno del laico cristiano limitato troppo spesso a compiti intraecclesiali «senza un reale impegno per l’applicazione del Vangelo alla trasformazione della società». Cosa deve cambiare?Credo che in Italia si debba ripartire dai fondamenti di un’azione sociale e politica e da una sua dimensione popolare. Occorre esprimere una iniziativa politica forte per rimettere in agenda temi che senza la Dottrina sociale della Chiesa sarebbero finiti nel dimenticatoio. Penso, oltre alla povertà, al lavoro. Il Papa ci ha ricordato spesso l’importanza di questo tema, suggerendoci di usare la bussola della giustizia sociale. Oggi la sfida per i cristiani è la difesa del ceto medio, delle famiglie che stanno colando a picco. Qui c’è spazio per un nuovo protagonismo dei laici cattolici, però bisogna uscire da una elencazione di valori declinandoli in una proposta complessiva. Occorre ripensare a una formazione più adeguata del laicato. Mi pare sia il momento di rivedere ad esempio le scuole di formazione alla politica, le responsabilità cui siamo chiamati dal Papa ci chiedono un atteggiamento più critico e attento
Bergoglio denuncia l’affermazione di una «cultura dello scarto» che va oltre lo sfruttamento dei lavoratori e dei poveri. Come contrastare questa deriva antropologica, etica e politica, che anche in Italia sta uccidendo la dignità di tanti lavoratori espulsi anche in Italia dal mercato del lavoro?La lotta alla povertà è un’urgenza per costruire una società più giusta e solidale. Solo chi è disposto a riconoscere nel povero il proprio fratello può raccogliere l’invito a superare la cultura dello scarto. Ci deve preoccupare l’ampliamento di questo scarto, perché l’impoverimento di molti è necessario all’aumento della ricchezza di pochi. Quindi la riflessione del Papa è centrale per costruire una società equa, che è la sfida dell’oggi. La prima forma di contrasto è ridare peso politico ai ceti medi e ai lavoratori. Va ricreato quel compromesso tra capitalismo e democrazia che ha reso possibile lo sviluppo europeo, antitetico al modello plebiscitario liberistico.
L’esortazione apostolica contiene infatti una critica radicale al liberismo dominante. «Questa economia uccide» afferma Francesco. Quali sono secondo lei le alternative percorribili per una riforma? Per me politica e istituzioni a ogni livello devono tornare a governare economia e finanza per riformare, come auspicato dal Papa, un sistema modellato sugli interessi degli speculatori internazionali, sull’evasione fiscale e sulla corruzione. È questa la svolta che possiamo imprimere all’«economia che uccide» e che ha fallito. La radice è antropologica, si è affermata una cultura che usa e getta l’uomo per la bramosia di guadagno. Torno a rilanciare come modello alternativo il giusto rapporto tra capitalismo e democrazia che creava ricchezza per tutti. Come ricorda il Papa, immaginare una nuova economia sociale di mercato è una delle sfide più interessanti.
In concreto da dove ripartiamo?Dal pensare nuovi modelli di welfare, da una nuova mutualità, dal rilanciare le cooperative, dall’esperienza delle banche etiche, del terzo settore e dal commercio equo. Gli spazi ci sono, la crisi ha cambiato l’Italia e l’Europa. Né dobbiamo inventare nulla di nuovo, è il momento di rileggere e aggiornare la grande intuizione del mutualismo che sta alla base dello sviluppo della nostra società e che nasce dall’esperienza del mondo cattolico. Tocca a tutto il terzo settore farsi sentire.
Anche a livello individuale il Papa invita a mutare gli stili di vita occidentali improntati al consumismo e insostenibili. Come ripensare il rapporto di ciascuno con denaro e consumo? Va riscoperta l’essenzialità, occorre prendere coscienza del quotidiano peggioramento delle condizioni di vita di molte persone. Il nostro spreco toglie cibo ad altri. Dobbiamo trovare il coraggio di parlare anzitutto di giustizia e solidarietà. Cambiare gli stili di vita significa iniziare il lavoro di ricostruzione.