Chiesa

Accanto agli ultimi La mappa degli aiuti

Alessia Guerrieri venerdì 4 novembre 2011
​Due milioni e mezzo d’aiuti. Tante sono le richieste di cibo, vestiti o di un letto caldo per la notte. Gli homeless italiani vanno principalmente in cerca di questo quando bussano alle porte delle 727 organizzazioni che in 158 comuni d’Italia si occupano dei più poveri. Una cittadinanza invisibile, per la prima volta messa nero su bianco da Istat, Caritas Italiana, ministero delle Politiche sociali e Fio.Psd (Federazione italiana organismi per le persone senza fissa dimora), insieme al quadro dettagliato dei servizi presenti lungo lo stivale. L’offerta è ampia, ma il gap tra Nord e Sud resta troppo ampio, ed il sistema si regge soprattutto grazie alla gestione dei privati e al lavoro volontario.Nel 2010 erano presenti 3.127 servizi, per lo più orientati ai bisogni primari degli indigenti (il 34%), risposte d’emergenza che hanno contribuito da sole al benessere del 50% dell’utenza; al secondo posto (17%) ci sono i 520 alloggi notturni operativi sul territorio che hanno raggiunto quota 76mila prestazioni erogate in un anno, seguiti dagli enti che si occupano di accoglienza diurna (4%). «Non tutti gli utenti dei servizi sono tuttavia senza fissa dimora - ha sottolineato Linda Laura Sabbadini dell’Istat - ed in più la dislocazione dei servizi non ci consente di dare un numero preciso degli homeless, visto che ogni persona può aver usufruito di più prestazioni». La dimensione del fenomeno e le caratteristiche dei senza fissa dimora, infatti, saranno il secondo step della ricerca, che si concluderà solo l’anno prossimo. La rete degli operatori, tuttavia, ha teso la mano ai senza casa anche per servizi di segretariato sociale (24%) e di accompagnamento (21%), aiutando loro a sbrigare pratiche amministrative e fornendo informazioni. La parte del leone continuano a farla mense e centri di distribuzione abiti, che hanno avuto un afflusso venti volte superiore ai dormitori e doppio rispetto a quelli di presa in carico globale. Per lo più a gestirle sono organizzazioni private (l’80%), anche se la metà di loro (302) riesce comunque ad accedere ai contributi pubblici. Lo Stato, infatti, solo nel 14% dei casi organizza direttamente le strutture di accoglienza, raggiungendo appena il 18% dei bisognosi; il suo aiuto è soprattutto indirizzato a servizi di segretariato sociale più che di reale contributo materiale alla sopravvivenza dei poveri.Ma anche da poveri si deve essere oculati nello scegliere dove vivere, visto che i servizi sono concentrati nel centro nord, Lombardia e Lazio in testa. I due territori da soli soddisfano il 40% dell’utenza, soprattutto nelle grandi città, con Roma in cui si riversano il 91% dei poveri laziali e Milano oltre il 63% di quelli lombardi); seguono Sicilia e Campania, che raggiungono ciascuna appena il 10% del totale. «Il Sud, che in realtà presenta il maggior numero di richieste - ha aggiunto ancora il dirigente Istat - mostra il numero minore di servizi erogati. In questi territori sono le organizzazioni ecclesiastiche che si fanno carico di questa carenza».Persone senza lavoro, nuovi poveri del ceto medio che scelgono mense e centri di distribuzione di beni primari per arrivare a fine mese, risparmiando almeno alla cassa del supermercato. L’identikit dell’indigente oggi, infatti, è quello di «persone che non riescono con le proprie risorse a soddisfare i bisogni primari», ha aggiunto Paolo Pezzana, presidente del Fio.spd, e anche con «il prezioso contributo dei volontari e le risorse che la comunità mette in campo», non si riesce ad andare oltre il contenimento dell’emergenza e non i arriva quasi mai «alla promozione di un effettivo tentativo di re-inclusione sociale». Eppure qualcosa si muove. Un segnale arriva dal dicastero delle politiche sociali che a gennaio avvierà «la sperimentazione per la carta acquisti in dodici grandi città», ha assicurato il sottosegretario Nello Musumeci, un investimento da 50 milioni di euro che pubblico e privato non profit gestiranno insieme «stabilendo le priorità».