Chiesa

Il forum missionario. Dal Perù all'Uganda, passando per Caserta: cura e riconciliazione

Ilaria De Bonis lunedì 18 novembre 2024

Un momento del forum missionario a Montesilvano

«Tante volte come missionari ci siamo sentiti dei “fuori legge” che non significa solo rompere gli schemi, ma trasformare le cose dall’interno, come lievito nella pasta». Così don Giuseppe Pizzoli, direttore della Fondazione Missio ha tracciato le conclusioni dei lavori del Forum missionario che si è tenuto dall’11 al 14 novembre a Montesilvano. «Sostituiamo la parola potere con le parole abilità, prossimità, impegno, prendersi cura», ha suggerito Pizzoli. La Chiesa missionaria in questo senso ha un ruolo fondamentale: «riconciliare tutto ciò che è posto nel segno della divisione», andando oltre la tentazione del potere, ha suggerito il filosofo Roberto Mancini. «Nel messaggio evangelico i cristiani devono saper assumere la direzione di vita annunciata: servizio e cura anziché potere», ha ribadito il docente di Filosofia teoretica, tra i relatori della kermesse alla quale hanno preso parte 230 persone. Convertirsi, significa «uscire dalla cultura della separazione che vede l’altro ridotto a estraneo, la felicità ridotta a chimera e i morti ridotti ad un nulla».

Fin dal titolo, “Cantiere Missione”, il forum di Missio ha voluto tracciare un orizzonte ampio: quattro giorni di incontri, scambio, testimonianze e laboratori per riflettere su una nuova rotta. Dai laboratori tematici è emerso il desiderio di essere “profetici”: la base chiede «comunità aperte e meno clericali», maggiore attenzione «ai fragili, ai giovani, ai poveri, alle Chiese sorelle». Desidera «manifestare la gioia di essere cristiani» attraverso il «coraggio di partire» per dar seguito «all’integrazione tra culture». «Pensiamo spesso che profezia sia rompere gli schemi – ha ribadito don Pizzoli - ma non è solo questo. La trasformazione non fa rumore, è silenziosa, è efficace», lavora sotto traccia.

«Per andare avanti nella nostra missione dobbiamo essere capaci anzitutto di disimparare - ha suggerito padre Dario Bossi, comboniano, da molti anni in Brasile - per fare spazio allo spazio dell’altro». Mettere da parte i protagonismi, imparare dal basso, alla «cattedra dei poveri», apprendere percorsi per stare al passo con i tempi. Padre Dario ha raccontato la sua storia di redenzione con gli impoveriti del nord-est brasiliano, dove le multinazionali minerarie sfruttano il territorio. Paola Caridi, giornalista, storica e scrittrice esperta di Medio oriente e Palestina ha parlato in modo molto esplicito del genocidio di Gaza. «Quello che sta succedendo dentro Gaza viene descritto spesso come qualcosa che non riguarda esseri umani ma oggetti. Noi vediamo solo frammenti di carne e non ne riconosciamo l’umanità». A Gaza «stiamo assistendo ad un genocidio», ha detto Caridi. Suor Rosemary Nyirumbe dall’Uganda ha condiviso la sua “intuizione creativa” per trasformare in dono la vita delle donne ugandesi vittime dei guerriglieri, grazie ad una macchina da cucire. Donne rapite e coinvolte loro malgrado nella guerra, oggi sono risorte. Padre Filippo Ivardi, comboniano da Castel Volturno ha parlato della rete di bellezza sorta nella «discarica dei popoli». «Siamo a due passi da tutto, tra Caserta e Napoli, lungo la via Domiziana: in 27 km sono rappresentati 92 stati al mondo. I più numerosi sono nigeriani e ghanesi, arrivati nel corso degli anni». Giacomo Crespi e Silvia Caglio, coppia missionaria fidei donum di Milano per sei anni sono stati in missione a Pucallpa, in Perù. «Eravamo stranieri in terra straniera ma non ci siamo mai sentiti soli. Al rientro in Italia abbiamo vissuto la difficoltà di tornare in un mondo che sentivamo non più nostro». Padre Alejandro Solalinde dal Messico ha detto: «penso che la migrazione non sia solo un fenomeno di per sé ma il segno più importante dei tempi: uno specchio attraverso il quale possiamo vedere la nostra anima. Noi siamo loro e quando loro camminano anche noi camminiamo».