Chiesa

Coronavirus. Milano, la prima Messa con i fedeli. «In Duomo vi abbiamo aspettato tanto»

Marina Corradi martedì 19 maggio 2020

La Messa con i fedeli, la prima dopo il lockdown celebrata a Nembro, paese in provincia di Bergamo martoriato dal Covid

Quasi le otto di una luminosa mattina di maggio. Una piccola coda di fedeli davanti all’ingresso laterale del Duomo. Rilevazione della febbre, mascherina, guanti. Varchiamo la porta. Zitti, in questa immensità che ammutolisce, passiamo dietro al Coro, fino alla Cappella feriale. A Milano è la prima Messa con popolo in Duomo dal 23 febbraio. Una ragazza dai tratti asiatici si inginocchia davanti all’altare e prega, il viso nascosto nelle mani. Altri paiono frequentatori abituali, tornati dopo un esilio. Un anziano signore è molto pallido: malato, dice la faccia stanca, gli occhi da insonne.

Oltre l’altare, davanti a noi la fuga di colonne delle navate. Il gran cuore vuoto della Cattedrale alle otto in punto viene colmato, di colpo, dalle note potenti dell’organo: ed è come il profondo respiro di un uomo esanime che riprenda i sensi. All’unisono tutti in piedi, segretamente commossi, all’ingresso del celebrante, l’arciprete del Duomo Gianantonio Borgonovo. Commosso lui pure: « Vi abbiamo aspettato tanto! » , dice con calore. Perché, aggiunge, « abbiamo avuto le Messe in streaming, ma ora siamo qui insieme, come persone vive » . Nei cento anni esatti dalla nascita di Giovanni Paolo II, ricor- da Borgonovo, « che mi ordinò, nel 1979. Che interceda per noi » . La Cappella feriale è piena a metà: 36, i “milanesi” convenuti. La giovane asiatica non smette di pregare, il signore pallido si alza e si risiede a fatica.

Misurazione della febbre, mascherina, guanti. Poi in silenzio, lentamente, si prende posto tra i banchi nel rispetto delle distanze di sicurezza. E sembra il ritorno da un esilio

Gli Atti degli Apostoli, il Vangelo. Quale diversa densità nelle parole che si pronunciano coralmente, e nella faccia del sacerdote a pochi metri da te: nell’essere nella carne, e non nel virtuale. In questa splendida casa poi: e quante volte le navate nei secoli sono state colme di popolo, in remoti Natali e Pasque, per lutti e suppliche, e implorazioni di salvezza. Durante i canti lo sguardo indugia sugli scranni del coro, superbamente cesellati in ogni minimo particolare. E ancora una volta ti chiedi quali uomini dovevano essere, gli artigiani che costruirono il Duomo, perché restasse per i figli dei figli dei figli, per sempre.

L’Ostia candida spezzata sull’altare davanti ai fedeli sana uno strappo, breve ma doloroso. Siamo tornati. (Quanto a Lui, era qui, ad aspettarci). Le mani che porgono l’Eucaristia sono coperte da guanti da ospedale, ma l’essenziale è quell’Ostia che ci portiamo lentamente alla bocca, riassaporando un gesto caro. Sotto di noi, i canonici del Duomo stanno dicendo le Lodi - li intravedi uscendo, nella Cripta illuminata. Ogni mattina, pensi, nell’ora in cui Milano corre e preme e s’affolla, quegli uomini nel vertice sotterraneo della cattedrale pregano per noi. I giornalisti impugnano microfoni e camere e domandano a chi esce: com’è stata la prima Messa, due mesi dopo? Ma sono cose che difficilmente si esprimono in parole. Il vecchio signore pallido se ne è andato, zitto col suo segreto. Fuori, nel sole, Milano sembra affacciarsi timidamente dopo la prigionia. Cauta, esitante. Quante sirene abbiamo sentito nelle strade, quanti morti, quanta angoscia. Ma il tepore di maggio chiama, imperativo: e si comincia a vivere, ancora.